Caldo e correnti marine dietro la strage di nacchere di mare

Biologi dell'Area Marina Protetta di Capo Carbonara e dell'Università di Cagliari eseguono rilievi sui fondali interessati alla moria di nacchere di mare nella laguna di Sant'Antioco. Fotografia di Viviana Pasquini/Università di Cagliari.
Un nuovo studio evidenzia il ruolo delle correnti e delle temperature marine nel favorire la moria di massa di Pinna nobilis nel Mediterraneo dovuta all'endoparassita Haplosporidium pinnae

Per salvare la nacchera di mare dall'estinzione nel Mediterraneo scende in campo anche la "citizen science", unendo i suoi sforzi al monitoraggio e tutela che il mondo scientifico e istituzionale stanno mettendo in atto con progetti mirati. Il più grande bivalve endemico del bacino mediterraneo, da circa tre anni sta subendo un attacco devastante e repentino da parte di un parassita che, penetrando al suo interno, ne intacca le funzioni vitali fino alla morte, come hanno potuto constatare coloro che, avvicinandosi ad un'esemplare di Pinna nobilis sul fondale marino, non hanno osservato la chiusura delle grandi valve, tipica reazione istintiva quando il mollusco si sente minacciato.

Il punto della situazione lo ha fatto un team di ricercatori di vari paesi mediterranei, con uno studio pubblicato recentemente su Scientific Reports. Un evento di mortalità di massa riscontrato dapprima nelle acque spagnole, poi in quelle francesi ed italiane, con il fenomeno epidemiologico in estensione verso il Mediterraneo orientale. Per cui si è parlato di "catastrofe ecologica", causata dall'azione deleteria dell'endoparassita Haplosporidium pinnae.

Fotografia 
di Viviana Pasquini, Università di Cagliari
Lo studio, mette in evidenza il potenziale ruolo delle correnti sull'espansione dei parassiti, mediante simulazioni di deriva di particelle virtuali in un modello di correnti regionali ad alta risoluzione, teso anche a verificare se i fattori ambientali possono influire sull'infezione che colpisce le popolazioni delle nacchere. Dall'analisi dei dati, pare che le spore del parassita si siano disperse a livello regionale sfruttando le correnti superficiali, insediandosi ed agendo poi sui bivalvi con temperature marine superiori a 13,5 gradi e salinità compresa tra 36,5 e 39,7 psu. Di conseguenza, pare che il persistere di temperature relativamente elevate favorirebbe l'infezione, di cui ancora si ignora la tempistica impiegata ad uccidere gli animali infettati.

Rispetto all'ampia diffusione della malattia lungo il bacino occidentale, c'è tuttavia un elemento positivo, su cui si stanno concentrando gli sforzi attuali. In alcune aree interessate alla morìa, sono stati individuati dei punti di sopravvivenza sparsi, con esemplari potenzialmente resistenti all'azione del batterio, che prefigurano uno scenario stimolante per la conservazione dell'emblematica Pinna nobilis. Ciò può accadere, ad esempio, in tratti costieri relativamente chiusi, come lagune e baie con temperature e salinità che vanno oltre i limiti di tolleranza del parassita. Lo studio genetico di questi individui è una delle piste su cui lavorano i ricercatori per sviluppare azioni efficaci sulla vitalità della specie.

Fotografia di Viviana Pasquini, Università di Cagliari
Uno scenario che richiederà misure di gestione rapide e strategiche, col ruolo essenziale che possono avere progetti scientifici rivolti ai cittadini ed azioni di sensibilizzazione sulla tutela delle colonie sane delle grandi pinne, il cui prelievo, va ricordato, è illegale, in quanto specie protetta da convenzioni internazionali. Lo studio succitato, mette proprio in evidenza l'importanza delle molteplici segnalazioni ricevute dai non addetti ai lavori, tra cui sub, bagnanti e diportisti, pari al 40 per cento del totale.

Ed è agli osservatori scientifici e non che si rivolgono iniziative come il progetto di scienza partecipata "Pinna nobilis: ricerca per la sopravvivenza", coordinato dal Centro marino internazionale (IMC) di Torregrande, vicino ad Oristano, coinvolgente le aree marine protette sarde e la Regione Sardegna (che ha stanziato 400 mila euro fino al 2020), con l'obiettivo di identificare esemplari sani o malati, effettuare campionamenti non invasivi, condurre analisi genetiche e produrre un rapporto finale da cui emergano eventuali proposte di gestione per la conservazione della specie.

Chi volesse partecipare attivamente alla ricerca, dopo un avvistamento può compilare un modulo online sul sito dell'IMC, fornendo utili dati al progetto di monitoraggio diffuso, in collaborazione con i ricercatori del CNR e delle università. Un simile progetto di "citizen science" è quello denominato "Sos Pinna", sviluppato dall'Istituto Talassografico di Taranto (in ambito CNR - IRSA) e dall'Università di Teramo, che vede coinvolti in prima persona i sub dei diving center dell'Adriatico e dello Ionio che hanno aderito.

di Simone Repetto
http://www.nationalgeographic.it/natura/animali/2019/10/22/news/citizen_science_in_campo_per_salvare_le_nacchere_di_mare-4590874/

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