Nell'orso bruno i geni dell'estinto orso delle caverne

Un orso grizzly, noto anche come orso bruno nordamericano, perlustra il territorio, pronto a intercettare sentori di cibo o di pericolo. Una parte del suo Dna probabilmente risale agli orsi delle caverne, oggi estinti, che si sono incrociati con gli orsi bruni migliaia di anni fa. Fotografia di Paul Nicklen, National Geographic Creative.
Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature Ecology and Evolution, il genoma degli orsi bruni attuali contiene tracce di Dna di Ursus spelaeus, estinto circa 24 mila anni fa. Prima scoperta di genomi di specie estinte tra animali viventi dopo quella di varianti neandertaliane nel genoma umano

Dopo aver vissuto in Europa e in Asia per più di centomila anni, gli orsi delle caverne si estinsero circa 24mila anni fa in seguito a una fase di declino durata un millennio, favorita probabilmente dalla caccia, dai cambiamenti climatici e dalla competizione con gli uomini per la conquista dello stesso habitat.

E anche se gli orsi delle caverne scomparvero del tutto, il loro Dna è arrivato fino ai nostri giorni: un nuovo studio conferma infatti che circa fra lo 0,9 e il 2,4% del genoma degli orsi bruni viventi oggetto dello studio contiene tracce di Dna di questi animali estinti.

La scoperta è stata pubblicata di recente su Nature Ecology and Evolution. Si tratta del secondo caso in cui i ricercatori riscontrano la presenza di geni di una specie estinta - in questo caso nell’ultima glaciazione - nel genoma di una specie attuale con lei imparentata. Il primo caso noto riguarda invece gli esseri umani: fra l'1,5 e il 4% del genoma di un non africano è costituito da sequenze ereditate dai Neandertal, risultato dell’incrocio fra questi ultimi e gli individui della nostra specie.

“[Gli orsi delle caverne] sono estinti per definizione, ma ciò non significa che il loro pool genico sia svanito: quest’ultimo persiste nel genoma degli orsi bruni attuali”, spiega Axel Barlow, ricercatrice dell’Università di Potsdam, in Germania, fra i responsabili dello studio.

Lo studio contribuisce a rafforzare la teoria secondo la quale alcune specie si incrociano regolarmente fra loro. Per esempio, il Dna dello yak e del bue tibetano mostrano segni di ibridazione, così come le specie di suini con un antenato comune risalente a milioni di anni fa. E ancora, vi sono casi di ibridazione fra grizzly e orsi polari e, inoltre, solo la scorsa settimana, i ricercatori hanno scoperto i resti di un’adolescente figlia di una madre neandertaliana e un padre Denisova, che testimoniano quanto fosse diffusa l’ibridazione fra antichi ominini.

“L’idea secondo la quale una specie sia isolata dalle altre dal punto di vista riproduttivo è stata superata grazie a questo e ad altri studi”, afferma Rasmus Nielsen, genetista dell'Università della California, Berkeley non coinvolto nello studio.

Specie ibride

Per determinare la causa dell’estinzione degli orsi delle caverne, il team di ricerca guidato da Barlow si è concentrato nell’osservazione della crescita e del declino delle popolazioni di questa specie; tali informazioni sono state ricavate grazie allo studio del Dna estratto dalle ossa delle orecchie di quattro esemplari di questa specie vissuti più di 35mila anni fa.

Innanzitutto, i ricercatori hanno confrontato il genoma degli orsi delle caverne con quello degli orsi polari e degli orsi bruni, piuttosto convinti che le due specie attuali fossero più strettamente imparentate fra loro che con gli orsi delle caverne. Ma il quadro è divenuto più complesso quando gli studiosi hanno iniziato a contare le varianti dei singoli geni.

Un ricercatore solleva il teschio di un orso delle caverne (Ursus spelaeus). Gli orsi delle caverne erano più grandi degli orsi bruni attuali e mangiavano una maggiore quantità di vegetali. Fotografia di Andrei Posmosanu
Poiché il Dna degli animali è caratterizzato da larghe regioni genomiche, vi è spazio a sufficienza affinché in alcuni geni si verifichi una variazione casuale. Per un semplice caso, gli stessi geni presenti in animali lontanamente imparentati fra loro possono apparire simili, mentre in animali con una stretta parentela possono apparire diversi. In assenza di incrocio fra due specie, queste possibilità si moltiplicano; ma non è quello che si è verificato nel caso degli orsi oggetto del nuovo studio.

“Se si osserva un eccesso di posizioni genomiche responsabili delle somiglianze fra orsi delle caverne e orsi bruni, piuttosto che fra queste due specie e gli orsi polari, allora è probabile che ci troviamo di fronte a qualcos’altro: l’ibridazione fra le due specie”, afferma Barlow.

I ricercatori non solo hanno notato i segni dell’incrocio, ma hanno inoltre confermato che gli orsi ibridi potevano riprodursi con entrambe le specie. Quando Barlow e il collega James Cahill hanno analizzato minuziosamente i genomi delle due specie, hanno scoperto che il genoma degli orsi bruni conteneva frammenti di Dna degli orsi delle caverne e viceversa.

“Dal mio punto di vista, non sorprende affatto l’incrocio fra orsi bruni e orsi delle caverne, anzi ha assolutamente senso. Nel complesso, le due specie hanno un aspetto molto simile e hanno condiviso periodo storico e habitat”, spiega il paleontologo Blaine Schubert della East Tennessee State University. “Tuttavia, fino allo studio attuale si trattava soltanto di un’ipotesi”.

La persistenza genetica dell’orso delle caverne è paragonabile alla presenza di varianti geniche tipicamente neandertaliane nel genoma umano. Ma i ricercatori tengono a sottolineare che fra i due casi esistono importanti differenze.

Innanzitutto, gli esseri umani moderni e i Neandertal sono più strettamente imparentati rispetto agli orsi bruni e gli orsi delle caverne. Inoltre, poiché è stata sequenziata una grande quantità di Dna umano, è molto più semplice studiare gli esseri umani e i loro parenti estinti più stretti; verificare negli orsi bruni la presenza di varianti geniche degli orsi delle caverne risulta invece più complesso, considerata, in questo caso, la quantità limitata di dati genetici. Negli esseri umani, il Dna ereditato dai nostri antichi cugini influenza, fra le altre cose, il sistema immunitario, la struttura dei capelli e la nostra capacità di vivere ad alta quota.

Ma nonostante le poche informazioni genetiche a disposizione, Barlow si meraviglia di quanto gli orsi delle caverne possano ancora insegnare qualcosa agli scienziati decine di migliaia di anni dopo la loro scomparsa: “Penso che la scoperta sia molto importante, poiché ci induce a ragionare, a livello filosofico, sul concetto di estinzione delle specie.

http://www.nationalgeographic.it/scienza/2018/08/28/news/nell_orso_bruno_i_geni_dell_estinto_orso_delle_caverne-4088751/

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