L’Antica Città di Ubar è la mitica “Atlantide del Deserto”?



Nel deserto della penisola arabica c’è una mitica città perduta, conosciuta con molti nomi: Iram dei Pilastri o delle “Colonne”, la “Città d’Ottone” e l’Atlantide del deserto. In occidente divenne nota grazie ai racconti delle Mille e una notte, e malgrado sia menzionata anche nel Corano, molti storici la considerano solo un mito. Altri vedono nel nome “Iram – che aveva alti pilastri” una connotazione geografica, riferita o alla città, o al suo territorio, o forse ad una tribù. Chi la identifica come una città ha indicato Alessandria, Damasco, e infine Ubar, scoperta nei primi anni ’90.

Chi propende per l’ipotesi che Iram dei Pilastri fosse un ampio territorio, lo identifica con Aram, una regione menzionata nella Bibbia, che prese il nome da uno dei nipoti di Noè, perché abitata da molti suoi discendenti. Secondo il Corano la città ricordata con il nome Iram, fu fatta sprofondare da Allah nelle sabbie del deserto di Rub ‘al-Khali (nell’attuale Oman), offeso dal comportamento dei suoi cittadini, che adoravano falsi dei.

Ubar era una ricca città carovaniera, abitata probabilmente tra il 3000 aC. e il 500 dC., un’oasi dove rifornirsi d’acqua prima di affrontare il deserto. Forse la sua storia fu tramandata attraverso i secoli dai beduini, nelle lunghe notti passate sotto le stelle del deserto Rub ‘al-Khali, in racconti che parlavano della città, delle sue ricchezze nascoste e del popolo di ‘Ad, la tribù che la abitava, ammonita dal profeta Hud, che annunciò loro la tragica fine a cui erano destinati per i loro peccati contro Dio.

Il deserto è un luogo dove tempo e spazio sono concetti indefiniti, capace di trasformare la leggenda in storia, e la storia in leggenda. La mitica Iram non è stata dimenticata anche grazie alle Mille e una notte, dove il ”Racconto della fanciulla con le due cagne” narra della bellissima Zobeide, che durante il suo viaggio da Bagdad a Bassora, per una serie di circostanze impreviste, arriva in una città dove gli esseri viventi sono stati tramutati in pietra nera, e ogni ricchezza può essere portata via da chi, casualmente, passi di lì.

Nel 1992 un team di studiosi, che non si arrendeva all’idea che Ubar fosse solo una leggenda, riuscì a riportarne alla luce le rovine, e a spiegare in parte il segreto della sua scomparsa.

Chi oggi visita Ubar, trova i resti di una piccola città circondata da mura e da otto torri, con un enorme numero di magazzini e negozi.



La città non scomparve per la furia di qualche nemico, o per un’epidemia, o per qualche catastrofe naturale, fu semplicemente inghiottita dalla sabbia. Forse da qui nasce la sua leggenda, Ubar ebbe lo stesso destino di Iram. In realtà la città sprofondò in una gigantesca caverna, perché era costruita sopra una enorme grotta calcarea, dove probabilmente c’era la fonte d’acqua che dava vita all’oasi.



Forse per un abbassamento del livello dell’acqua la caverna crollò, probabilmente tra il 300 e il 500 dC., inghiottendo l’oasi e tutte le sue ricchezze. Ubar è stata scoperta nel 1992 da un team di ricercatori, tra cui l’archeologo Juris Zarins, che si sono avvalsi della collaborazione della NASA: grazie a immagini scattate dallo Space Shuttle, a sensori dei satelliti e ad alcuni dati del programma Landsat, è stato possibile individuare il luogo dove convergevano le antiche vie carovaniere che portavano l’incenso dall’oriente verso i paesi del Mediterraneo.

https://www.vanillamagazine.it/l-antica-citta-di-ubar-e-la-mitica-atlantide-del-deserto/

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