Erasmo e Lutero. Libero o Servo arbitrio



Nel 1524 il filosofo umanista pubblica il suo attacco al padre della riforma protestante. Il quale risponde duramente l’ anno dopo. Cosi ‘ due grandi personalita’ tennero a battesimo la nuova Europa. Ecco perche’ oggi vale la pena rileggere con attenzione quel dibattito.

La contesa tra Erasmo da Rotterdam e Lutero sul libero arbitrio: due culture in opposizione. E da quel confronto nacque il mondo moderno.

Dio, dicono le Scritture, ha creato l’ uomo a sua immagine e somiglianza; Erasmo da Rotterdam, fedele cristiano e umanista irriducibile fino ad essere divenuto il simbolo stesso dell’ Umanesimo, cita con fervida adesione queste parole che celebrano il valore a lui piu’ caro, la dignita’ dell’ uomo, avvicinata addirittura alla perfezione divina. Filologo abituato a decifrare con esattezza non solo i testi antichi, ma anche i volti degli uomini,

Erasmo sapeva bene quanto fosse talora difficile riconoscere nel ceffo bestiale degli uomini ritratti da Brueghel o da Bosch i lineamenti di Cristo e come sia la crudelta’ sia il dolore, sia il male compiuto sia quello subito dall’ uomo rendessero precarie quelle parole bibliche, in cui egli credeva.

Dinanzi agli individui benedetti dalla sorte con tutte le virtu’ dello spirito, della mente e del cuore, inclini al bene, e agli individui sfigurati sin dall’ inizio dalla malattia, dalla brutalita’ del sentire, dalla mostruosita’ e da tendenze infami, Erasmo si domandava come fosse possibile, in questi casi, parlare della giustizia e della misericordia di Dio.

Erasmo pone questa domanda nella sua diatriba Sul libero arbitrio, nel 1524, ora ripubblicata da Studio Tesi nella versione di Italo Pin introdotta da Sergio Quinzio; un anno dopo Lutero gli da’ una risposta serrata e inesorabile col suo Servo arbitrio.

Il confronto fra i due testi e i loro autori, culturalmente e antropologicamente cosi’ diversi, e’ un momento centrale nello scontro epocale che vede nascere e crescere la Riforma protestante e . grazie ad essa, alla risposta cattolica e a un nuovo rapporto col retaggio della civilta’ classica . lo stesso mondo moderno. In modi diversi e antitetici, Erasmo e Lutero tengono quest’ ultimo a battesimo e vengono travolti dal suo impetuoso e demoniaco sviluppo, che tende a sbarazzarsi dei valori che gli hanno permesso di nascere.

Se lo spirito erasmiano di ricerca, laico e tollerante, e’ uno degli ideali di cui si fregia la modernita’ , essa distrugge la saggezza umanistica e l’ equilibrio che Erasmo deriva dalla civilta’ classica e dal suo connubio col cristianesimo; nella nuova Europa non ci sara’ posto per l’ ideale classico di saggezza.

Un processo di secolarizzazione sempre piu’ diffusa, tipico prodotto di quel mondo moderno impensabile senza il protestantesimo, porra’ sempre piu’ in crisi la religiosita’ luterana e la sua assolutezza, mentre la conciliazione erasmiana tra fede, ragione e sapere finira’ per dissolvere, come osserva Quinzio, le verita’ religiose in un possibilismo apparentemente liberale in cui la tolleranza e’ spesso il volto assunto dall’ indifferenza.

Se i secoli successivi sembrano aver smentito entrambe le arringhe, di difesa e di accusa del libero arbitrio, cio’ non toglie nulla al loro significato che non solo rimane, ma si rinnova perpetuamente e si ripropone, in forme culturali diverse, ad ogni generazione, perche’ . come la tragedia greca o la predica buddhista di Benares sul dolore . la disputa fra Erasmo e Lutero e’ uno di quegli episodi che nascono da un preciso momento storico e ne sono culturalmente impregnati, ma trascendono la storia e la cultura da cui sono nati per rivolgersi alle cose ultime e porre le domande essenziali sulla vita e il suo significato o la sua assurdita’ .

Il profondo legame con la loro epoca e con i suoi aspetti che possono parere lontani alle generazioni successive e’ il segno della loro universalita’ , autentica solo quando l’ individuo si immerge nel proprio tempo assumendo su di se’ i suoi pesi e i suoi limiti, mentre chi pretende di parlare da un pulpito sottratto alla contingenza e alla relativita’ della vita, non macchiato dal suo sudore e dal suo sangue, e’ un tronfio e vacuo retore. Cristo, che per Erasmo come per Lutero e’ il dio incarnato, non annunzia il suo Vangelo da un cielo eterno e immutabile, ma dalla promiscuita’ della storia con le sue violenze, le sue dispute e le sue miserie.

Anche la sconfitta, almeno parziale, di Erasmo e di Lutero e’ un segno della perenne vitalita’ della loro contesa, perche’ un grande pensiero continua ad animare le coscienze e la realta’ solo finche’ non e’ stato accettato e quindi, in certo modo, fatalmente integrato e neutralizzato dal mondo e continua dunque a contrapporre alla realta’ , alle cose cosi’ come sono, le cose cosi’ come dovrebbero essere. La Croce . venerata da entrambi, anche se Lutero rimproverava ad Erasmo di preferirle la tranquillita’ degli studi . e’ il simbolo per eccellenza di una verita’ confermata da un clamoroso fallimento, da una morte umiliante patita da solo, pressoche’ abbandonato dagli stessi discepoli.

Il quesito dibattuto da Erasmo e Lutero riguarda l’ essenza dell’ uomo, della sua liberta’ e del suo destino, la sua possibilita’ o impossibilita’ di salvarsi senza l’ aiuto della grazia divina. Entrambi rifiutano la tesi di Pelagio, bollata come eresia, secondo la quale l’ uomo, redento dal sacrificio di Cristo e dal battesimo, tiene la propria salvezza nelle proprie mani e non ha alcun ulteriore bisogno dell’ aiuto divino. Erasmo, filologo che esige la scrupolosa verita’ del testo per la conoscenza della verita’ religiosa e postula l’ unita’ di scienza e fede, si trova dinanzi a passi delle Scritture che sembrano affermare il libero arbitrio e ad altri che sembrano negarlo e confronta, interpreta, paragona, discute per sdipanare i dubbi e le contraddizioni.

Egli vuole conciliare ad ogni costo la grazia, la cui partecipazione gli sembra indispensabile per la salvezza, e la liberta’ della ragione e del volere dell’ uomo, senza la quale quest’ ultimo, mero strumento di un’ inesorabile necessita’ , sarebbe moralmente irresponsabile, indegno di essere salvato come di essere castigato. Per Erasmo . che non per nulla rimase fedele al cattolicesimo, nonostante le sue denunce dell’ immoralita’ e dell’ intolleranza autoritaria della Chiesa e la condanna all’ Indice dei suoi libri da parte di quest’ ultima . all’ uomo e’ necessaria la fede, ma sono pure necessarie le opere, compiute in liberta’ e responsabilita’ , e’ necessaria la moralita’ delle azioni buone e giuste. Per trovare una soluzione intermedia che non sia un mero compromesso,

Erasmo si destreggia in distinzioni e sfumature, affronta e scansa labirinti logici e teologici che al suo avversario, il “cinghiale selvaggio” Lutero, appaiono sottigliezze grammaticali. Se Erasmo sfuma e distingue, Lutero . che si proclama barbaro e balbuziente rispetto alla maestri’ a retorica dell’ umanista . nega e afferma con nettezza, violenza e pervicacia. Ispirandosi a San Paolo e a Sant’ Agostino e attaccando San Gerolamo . il santo traduttore della Bibbia e per Erasmo simbolo della conciliazione fra cristianesimo e classicita’ , amore religioso e filologico della parola .

Lutero ribadisce, con potenza talora prolissa ma travolgente, un’ unica, monotona e terribile verita’ : l’ uomo, da solo, non e’ nient’ altro che carne destinata al male e alla corruzione, schiavo del peccato e della necessita’ , irrefrenabilmente incline alla malvagita’ .

L’ uomo da solo non puo’ nulla, sta sotto il dominio di una Legge che fa conoscere e crescere il peccato e gli impone dei comandamenti che egli deve ma non e’ in grado di seguire, rendendolo dunque ancor piu’ colpevole. L’ uomo puo’ salvarsi solo grazie alla fede, riconoscendo la propria assoluta miseria e invocando la misericordia divina; nessuna buona opera che egli compia puo’ renderlo giusto e tantomeno salvarlo, perche’ tutto cio’ che proviene solo da lui e’ male, anche se puo’ apparire meritevole agli occhi degli uomini.

Confessando la sua debolezza personale con accenti di toccante drammaticita’ , Lutero ammette il proprio turbamento dinanzi allo scandalo del dolore che schianta senza perche’ tanti innocenti, ma considera il suo turbamento una debolezza carnale da vincere e condanna la pretesa umana di giudicare l’ agire divino quando appare ingiusto e crudele, secondo le misure della morale e della giustizia degli uomini. Dio e’ nascosto, irriducibilmente altro rispetto ad ogni concezione umana. Se, come dicono le Scritture, egli ha amato Giacobbe e odiato Esau’ gia’ nel seno della madre, non gli si puo’ chiedere conto di questa che agli uomini sembra una intollerabile ingiustizia.

I paradossi della religione mettono in difficolta’ entrambi i contendenti: Erasmo, cui tocca il compito intellettualmente piu’ arduo di conciliare la liberta’ umana con la necessita’ della grazia, non riesce a spiegare come senza quest’ ultima possa nascere nell’ uomo il primo passo verso il bene e la stessa invocazione della grazia; Lutero non riesce a spiegare che senso abbia la sua esortazione a ravvedersi, rivolta a uomini i quali se non hanno la grazia non la possono accogliere e se ce l’ hanno non hanno bisogno delle sue parole.

Lutero, che ammira sinceramente Erasmo e dichiara il proprio debito culturale nei suoi confronti, si proclama ignorante rispetto a lui, ma nella disputa e’ lui il vero scrittore: ne ha la potenza espressiva, la forza sanguigna e plebea, anche quella dismisura e quell’ esasperazione faziosa che sono logicamente insostenibili e spesso umanamente antipatiche, ma di cui la grande letteratura ha bisogno per illuminare l’ abisso e il delirio dell’ esistenza. Erasmo e’ dotto, fine, ma la sua affabile eleganza rischia di fare spesso di lui un retore piu’ che uno scrittore.

Erasmo ama la pace e dinanzi ai labirinti inesplicabili della fede ma, prima ancora, della vita stessa preferisce venerare l’ imperscrutabile tenendosene a distanza. Lutero sa che Cristo e’ venuto a portare non la pace, ma la spada e, pur sgomento dinanzi ai violenti tumulti del mondo, sa che essi sono un segno della verita’ della parola divina, venuta a portare scandalo e a scuotere l’ ordine del mondo. Le sue affermazioni appaiono inaccettabili a chi ritiene che senza credere nella liberta’ dell’ uomo non si possa vivere, ma anche chi crede nella liberta’ morale dell’ uomo non puo’ non sentire l’ impotenza, la debolezza, l’ incapacita’ di reggere all’ urto della vita ingiusta e crudele, l’ assurdita’ di dover obbedire a un comandamento inaudito come quello di morire.

Ed e’ Lutero che fa i conti con la potenza devastante di cio’ che ci trascende. Kafka mostra come ci si senta colpevoli anche senza aver commesso nulla, come si avverta quale colpa la propria impotenza di fronte alla vita.

L’insufficienza, il fallimento diventano, indipendentemente da ogni volontà ed intenzione, un’azione o almeno una condizione colpevole, come talora – spesso – nella Bibbia o nella tragedia greca. Il fato – come ha messo in rilievo con grande potenza Aldo Magris nel suo fondamentale volume sul destino nel mondo antico – rischia di assorbire anche il giudizio, perché l’uomo sembra nascere predestinato alla colpa che lo macchia e ciò risulta intollerabile a ogni esigenza di libertà.

Certo, nei momenti più intensi – nel bene e nel male – dell’esistenza sembra di avvertire tale destino, la totalità che ci comprende, abbraccia e determina, ciò che non si può volere né scegliere e che s’identifica con le esperienze decisive della vita, come quando ci si innamora e l’amore arriva addosso non per volontà, ma in obbedienza a una legge profonda che in quel momento ci trascende e ci dice la nostra verità.

Questa grazia – anche quando è grazia e non maledizione – è terribile e sembra mettere in pericolo o negare la libertà e la responsabilità umana. Eraclito identificava il destino con il carattere, ma ciò non rende meno inquietante l’ombra che viene proiettata sulla libertà umana.

Forse qui c’è un limite oggettivo della comprensione umana, l’incapacità di capire come la necessità – quella necessità che si avverte in alcuni momenti fondamentali dell’esistenza – si concili con la libertà, senza la quale è inconcepibile e inaccettabile ogni concetto del bene. Questa conciliazione e la capacità di vederla sarebbero forse la salvezza e la felicità; talvolta sembra di coglierle, ma sfuggono quando si cerca di afferrarle definitivamente in un concetto.

A me, ad esempio, è parso di coglierle vedendo per lungo tempo, vicino a me, una persona accettare la sorte che vedeva avanzare verso di lei, accettare senza ribellione la necessità della morte, e insieme combattere strenuamente contro di essa, renderle difficile l’avanzata, per strapparle quanta più vita e gioia possibile.

I sette monaci, assassinati nel 1996 in Algeria dai fondamentalisti, hanno accettato con assoluto coraggio la loro sorte, senza cercare di fuggirla, ma dicendo contemporaneamente ai loro assassini di non credere affatto che fosse volontà di Dio che la morte dovesse colpirli per loro mano; essi accettavano la necessità e insieme vi resistevano. Si dovrebbe essere capaci, come quei fratelli, di accettare l’insondabile parabola della vigna e insieme di lavorare sin dalla prima ora.

Lo scontro tra Lutero ed Erasmo è anche scontro sulla storia; sul suo percorso libero e obbligato. Come ha scritto in pagine memorabili Noventa, c’è una sconcertante contraddizione che vede il luteranesimo fondare la modernità e contribuire pure al rigore morale, mentre è la linea cattolica (espressa pure da Erasmo) che fonda – con l’accento posto sul libero arbitrio, sull’importanza etica dell’agire e sulla responsabilità dell’uomo – i principi basilari della coscienza moderna, dell’etica e della libertà, spesso peraltro negandoli nella prassi. Paradossalmente, princìpi immorali producono rigore morale e viceversa.

Se si guarda da lontano il corso della storia, si è indotti a vederlo come fatale, qualcosa che sembra patetico voler fermare o modificare con interventi morali, così come sembrerebbe patetico opporsi con ideali o on misure arcadiche, da idillio pastorale, a quello sviluppo tecnologico che ha assunto sempre di più, per l’Occidente, le sembianze del destino.

Ma se si guarda all’esistenza individuale, si avverte, con altrettanta insopprimibile concretezza, il quantum di libertà di cui essa dispone; ognuno, se guarda entro se stesso, sa bene quali sono e sono stati i limiti delle sue scelte e del suo agire, ma anche quali possibilità erano nelle sue mani e ha perso per sua responsabilità. Proprio perché la ragione, come dicevano gli illuministi, è una tenue fiammella nella notte, essa è tanto più preziosa; va protetta e non certo spenta per civetteria con le tenebre o col mistero.

Guardando il futuro, proprio perché ci si rende conto di quanto forti siano le pressioni che tendono ad avviarlo su un binario obbligato, non resta che continuare ad essere degli illuministi, alieni da ogni retorica del progresso, ma ironici, umili, accaniti fedeli alla fede nella ragione, nella libertà e nella possibilità di incidere, certo modestamente, sul corso del mondo e di operare per un reale progresso dell’umanità.

Ma Erasmo non e’ il conciliante e sorpassato umanista, che l’ oleografia suggerisce. C’ e’ un momento in cui egli s’ innalza forse su Lutero, quando parla dell’ arcana sensazione istintiva che lo induce a non credere nella lotta, nella polemica, nel confronto in cui pure impegna tutte le sue forze. Umanista e uomo del dialogo, Erasmo sente che esso . se non si basa su una precedente affinita’ elettiva o sostanziale vicinanza di vedute, che per altro lo rendono superfluo . e’ vano.

Il filologo e polemista che crede nella ragione e nella parola, avverte che l’ essenziale si decide prima della parola, nelle mobili e inafferrabili profondita’ della vita che accostano o allontanano inesorabilmente gli uomini; si accorge che nel dialogo si convince solo chi e’ gia’ convinto e che il destino della parola e della ragione e’ l’ equivoco.

Tale consapevolezza, per chi crede umanisticamente e razionalmente, come Erasmo, nella parola, non e’ meno tragica della visione luterana del peccato. La grandezza di Erasmo e’ la sua simbiosi di fede e ironia, che si aiutano a vicenda e aiutano a vivere.

La reticenza, l’ elusione, l’ ironico sorriso di Erasmo sono l’ espressione di una amabilita’ conservata anche affacciandosi sul nulla . e sono l’ espressione della forza straordinaria di chi, pur conscio della vanita’ del suo raziocinare, continua tenacemente a seguire la ragione, perche’ si rifiuta di credere che anche quel nulla sia la verita’ definitiva.

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Mondo Tempo Reale

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