Scoperte delle sculture buddiste in Pakistan



Nell’antica città di Bazira sono state scoperte delle bellissime sculture buddiste risalenti a oltre 1.700 anni fa. Le sculture sono state trovate tra le rovine di un santuario e del suo cortile, e testimoniano la vita religiosa della città.
Chiamata anche Vajirasthana, Bazira si trova nella valle dello Swat, in Pakistan. Da piccolo villaggio quale era nel II secolo a.C., diventò più tardi una città all’interno dell’impero Kusana. Al suo apice, questo impero controllava un territorio che si estendeva dalla moderna India all’Asia centrale.
L’impero Kusana cominciò il declino nel III secolo d.C., quando una serie di terremoti devastò peraltro Bazira. Questi due eventi portarono la città alla rovina e all’abbandono verso la fine del III secolo.
Oggi le rovine di Bazira si trovano vicino al moderno villaggio di Barikot. La missione archeologica italiana scava nel sito dal 1978, portando gradualmente alla luce i resti dell’antica città.
I resti del santuario e del cortile (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
I resti del santuario e del cortile (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Il santuario visto dall'alto (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Il santuario visto dall’alto (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
La grande partenza
Una delle sculture raffigura Siddhartha mentre lascia un palazzo, in sella a un cavallo di nome Kanthaka. La scultura probabilmente faceva parte della decorazione del santuario.
Secondo la tradizione buddista, Siddhartha era un ricco principe che viveva nel palazzo reale a Kapilavastu, odierno Nepal. Visse negli agi della reggia, recluso dal padre, fino a quando un giorno volle vedere la realtà del mondo e perciò uscì dal palazzo, ma vide la sofferenza della gente comune. Dopo tale esperienza, decise di lasciare la reggia per vivere da povero in cerca dell’illuminazione. Divenne più tardi il Gautama Buddha.
Siddhartha (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Siddhartha (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Il cavallo Kanthaka (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Nella scena scolpita si vedono anche due yaksha (degli spiriti della mitologia buddhista) che sostengono gli zoccoli di Kanthaka, scrive l’archeologo Luca Olivieri, direttore degli scavi a Bazira, nel Journal of Inner Asian Art and Archaeology.
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Uno yaksha (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
La figura più a sinistra è la dea della città di Kapilavastu, con in testa una corona, mentre tiene le mani unite in segno di venerazione.
Un uomo sconosciuto – forse una divinità – sta dietro Kanthaka, con la mano sinistra sulla bocca e la destra che tiene un indumento simile a una sciarpa chiamato uttariya.
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Testa di dio e vino
Nel cortile del santuario, gli archeologi hanno poi trovato un’altra scultura, questa volta risalente a un periodo successivo al terremoto. Il santuario era stato infatti ricostruito con dei materiali deteriorabili quali legno. Sempre in questo periodo, il cortile venne trasformato in una cucina che serviva le case accanto.
La scultura “rappresenta una divinità sconosciuta, una figura maschile anziana seduta su un trono, con capelli lunghi e ricci, mentre tiene nelle mani un calice di vino e una testa mozzata di capra», spiega Olivieri a Live Science, aggiungendo che la figura assomiglia un po’ a Dioniso, il dio greco del vino.
Il vino era prodotto su larga scala nella valle dello Swat, e alcune persone della zona, persino dei monaci buddisti, avevano problemi d’alcol. Dice Olivieri: «Abbiamo trovato dozzine di presse enologiche antiche e tini nel cortile. Dai testi, sembra che le scuole buddiste facessero del loro meglio per limitare la consumazione di vino e altre ‘bevande alcoliche’, persino in mezzo alla comunità monastica». La testa di capra nella scultura simbolizza anche una passione locale: «La capra è un animale associato alle montagne nelle culture dell’Hindu Kush, la regione locale», dice Olivieri.
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Stupa con leoni
Un’altra bellissima scultura che una volta decorava il santuario raffigura una stupa, un tipico monumento buddhista funerario e oggi anche luogo di preghiera e venerazione. Vicino alla cima della stupa c’è un’harmika (un balcone quadrato con parapetto), decorata con un motivo floreale.
Due colonne, con dei leoni in cima, sono scolpite accanto al monumento. I leoni lo guardano come se lo stessero sorvegliando.
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Secondo Olivieri, questa scena potrebbe essere basata su una reale stupa esistita nella valle dello Swat, scavata dagli archeologi negli anni ’60 e ’70. Non a caso, venne utilizzata tra il I e il IV secolo d.C., quando Bazira prosperava.
(Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)
Modellino di una stupa scavata negli anni ’60 e ’70, conservato nel Museo Archeologico dello Swat (Aurangzeib Khan, Courtesy ACT/Italian Archaeological Mission)

Mondo Tempo Reale

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