Il riscaldamento globale minaccia mais e grano europei

FOOD Più aumenta la temperatura, più i cereali vengono attaccati da un fungo che produce tossine cancerogene; e il rischio è più alto in Italia e Spagna

Il riscaldamento globale sta minacciando la produzione di grano e soprattutto di mais nell'area mediterranea. Se davvero la media delle temperature dovesse salire di due gradi rispetto all'era preindustriale il rischio di contaminazione di aflatossine aumenterà del 50%.

Non è una buona notizia, perché le aflatossine sono micotossine genotossiche e cancerogene per l'uomo. Sono funghi (Aspergillus flavus) che colonizzano le piante dei cereali. Con l'aumentare della temperatura e in condizioni di siccità, si “attivano” e le rendono tossiche. Se superano una certa soglia, stabilita dal regolamento europeo 574/2011, il grano o il mais attaccati non possono essere venduti. Ed è una possibilità concreta: l'aumento di 2 gradi centigradi è visto da diversi esperti come uno scenario “auspicabile”: il minore dei mali.

L'allarme è stato lanciato da uno studio internazionale pubblicato su Nature e finanziato da Efsa (l'autorità europea in campo alimentare) cui hanno partecipato anche scienziati italiani del Cnr Ispa (Istituto di scienze delle produzioni alimentari) e Ibimet (Biometerologia), l'Istituto superiore di sanità e la cui prima firmataria è Paola Battilani dell'università Cattolica di Milano.

Lo studio ha cercato di prevedere quanto e come si svilupperanno le micotossine di grano e mais nei prossimi 100 anni in Europa. I ricercatori hanno ipotizzato due scenari: l'aumento – che lo studio definisce “realistico” - di due gradi centigradi e quello più pessimistico e meno probabile di 5 gradi.

Gli scenari. Le mappe a corredo dello studio parlano chiaro: se oggi il rischio di contaminazione del mais è già una realtà in Spagna centro-meridionale, nelle aree costiere di Puglia, Sicilia e Calabria e in parte della Grecia, in caso di +2 gradi il rischio si estenderebbe all'intera penisola iberica (fatta eccezione per le regioni settentrionali) tutta l'Italia (tranne fascia alpina e i rilievi appenninici abruzzesi), Bulgaria e Albania.

E se le temperature dovessero aumentare di cinque gradi? Per mais e grano ci si dovrebbe aspettare qualcosa di molto simile a una carestia, ma non è così. Per il bacino Mediterraneo la minaccia aflatossine diminuirebbe, seppure di poco. A rimetterci sarebbero soprattutto i Balcani e l'Europa centrale ed è un fenomeno che non sorprende gli scienziati: “Con un aumento così drastico delle temperature il ciclo della pianta si accorcerebbe molto, la fioritura si anticiperebbe e per le aflatossine le condizioni sarebbero meno favorevoli” spiega Piero Toscano, ricercatore del Cnr Ibimet, che precisa come il +5 sia “uno scenario contemplato dallo studio e dall'Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ndr) ma molto lontano dagli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi sul contenimento del riscaldamento globale. E in ogni caso, i problemi per il pianeta sarebbero ben più gravi del rischio di contaminazione da aflatossine”.

In realtà l'aumento di due gradi centigradi rispetto alle medie stagionali è una situazione che abbiamo già vissuto nel 2003, nel 2012 e nel 2015. La conseguenza, infatti, è stata un'impennata di partite contaminate di mais e grano; nel 2012 i livelli di contaminazione in Italia hanno raggiunto livelli finora riscontrati solo nei Paesi africani. Da anni i livelli di aflatossine nei cereali vengono periodicamente controllati sia nel nostro Paese che nei porti, dove arrivano mais e grano dall'estero.

Un problema alimentare. E non solo.

Secondo i dati Fao in Europa ogni anno circa 26 milioni di ettari vengono coltivati a frumento e nove milioni di ettari a mais. I cereali in generale costituiscono il 30% della dieta umana nei paesi industrializzati e il 50% della dieta animale in Europa. E la zootecnia è strettamente legata alla nostra salute: se gli animali mangiano alimenti contaminati, trasferiscono la tossina anche nel latte e nei formaggi, allargando così lo spettro dei cibi potenzialmente pericolosi.

Ecco perché i ricercatori hanno lanciato un allarme alimentare ma anche economico. Se le aflatossine superano il limite consentito il mais e il grano vengono gettati nei bio-digestori o altri sistemi di produzione di energia. Oggi è un palliativo, un piano B per non azzerare del tutto il valore economico di un raccolto e la garanzia che le partite contaminate vengano smaltite in modo corretto. Ma a lungo andare il danno sarebbe sistemico “sia per i produttori sia per i compratori, visto che di grano 'buono' disponibile ce ne sarebbe di meno e a prezzi più alti” spiega ancora Toscano.

Cosa possiamo fare.

L'accordo firmato nel dicembre 2015 alla fine della conferenza di Parigi Cop 21 prevede di limitare il riscaldamento globale fino a un massimo di 1,5 gradi. Anche a queste condizioni il rischio di contaminazione da aflatossine sarebbe molto alto.

Dando per scontato che il global warming non si arresterà – perlomeno non in tempi brevi – serve una soluzione. E la scienza probabilmente l'ha già trovata: combattere il fungo “cattivo” con un fratello “buono”. Nella sede di Piacenza dell'università Cattolica, la professoressa Paola Battilani e il suo team – in collaborazione con il professor Peter Cotty dell'università dell'Arizona - stanno riadattando al mais una tecnica già sperimentata con successo negli Stati Uniti, dove la guerra alle aflatossine si combatte da più tempo rispetto all'Europa. “Non tutti i ceppi di Aspergillus flavus producono l'aflatossina – spiega Battilani, che insegna Patologia vegetale alla facoltà di Agraria della Cattolica – e una volta individuati i ceppi più competitivi, si inoculano nei semi del sorgo”.

I semi che contengono il fungo “dormiente” - trattati per non germinare - vengono distribuiti sul campo con spandiconcime quando la pianta del mais ha già sviluppato quattro-cinque foglie. “A questo punto, se si verificano le condizioni climatiche di caldo e siccità, il fungo si sviluppa ed entra in competizione con quello naturalmente presente” sviluppatosi sulle piante di mais. Il fungo “buono” compete e vince. “In media con questa tecnica si riesce a ridurre la contaminazione di un 80%”. Tutto risolto, quindi? Battilani preferisce non cantare vittoria: “In agricoltura le variabili sono tantissime e non esistono soluzioni al 100%. Ad oggi, però, questa tecnica è l'unica che funzioni”.

Mentre negli Stati Uniti sono già stati registrati due ceppi del fungo, in Italia quest'anno è stata concessa la prima autorizzazione temporanea di impiego. “La tecnica che utilizziamo è il biocontrollo per esclusione competitiva, ma a livello legale per la registrazione deve seguire le regole di un fitofarmaco, con tutta la trafila che ciò comporta” conclude Battilani. Visti i risultati, vale la pena aspettare.

http://www.nationalgeographic.it/food/2016/06/27/news/il_riscaldamento_globale_minaccia_mais_e_grano_europei-3139240/

Mondo Tempo Reale

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