Patine e macchie fanno male o bene ai monumenti?



I cosidetti biofilm ricoprono statue e templi antichi o più moderni, ma ora si discute sugli effetti che producono sulle opere d'arte. E la risposta non è affatto scontata

I numerosi edifici e monumenti bianchi che caratterizzano Washington, D.C., furono costruiti per echeggiare quelli dell'antica Grecia e dell'antica Roma; realizzati in marmo immacolato, i monumenti della capitale americana volevano essere una rappresentazione visiva degli ideali civici e di auto governo della nazione.

In un arco di tempo relativamente breve però, questi moderni templi della democrazia hanno iniziato a deturparsi. Macchie scure sono apparse su quasi ogni superficie in pietra della città, a cominciare dalla cupola del Jefferson Memorial, passata da un bianco splendente a una distesa di chiazze scure in soli 10 anni. La stessa patina scura deturpa rovine romane in Italia, i tempi egizi, e i volti di pietra di Angkor Wat in Cambogia.

La patina nera è oggettivamente brutta, ma distrugge anche i monumenti?

La risposta è tutt'altro che evidente. Ma le superfici chiare dei più recenti monumenti americani sono un buon punto di partenza per osservare come i cosiddetti biofilm si sviluppano, crescono e si diffondono, e per capire se la patina possa danneggiare, oppure proteggere, gli storici monumenti in pietra in tutto il mondo.

“È una materia diventata sempre più complicata da quando abbiamo iniziato a studiarla", dice Judy Jacob, conservatrice allo U.S. National Park Service.



Chiazze di biofilm macchiano il Jefferson Memorial a Washington, D.C. Fotografia di Jim Lo Scalzo, EPA/Redux

Patina batterica

I biofilm sono costituiti da veri e propri ecosistemi di batteri, alghe e funghi che vivono in una patina estremamente resistente. Praticamente non ne esistono due uguali. I microbi producono una sorta di gel polimerico in cui vivono che si lega quasi indissolubilmente alla micro-topografia delle superfici da loro colonizzate. I batteri producono pigmenti protettivi, e lo stesso materiale facilita l'annerimento raccogliendo particelle dall'aria.

I biofilm batterici si possono formare su qualunque superficie e in qualsiasi momento: dall'intestino umano alla superficie degli oceani, queste patine sono onnipresenti.

Fu lo studioso olandese Antoni van Leeuwenhoek, nel 1683, a farne menzione per la prima volta quando osservò al microscopio i microorganismi raccolti sui propri denti. Si lavò la bocca con aceto, ma neppure questo, annotò nei suoi appunti, sembrò avere alcun effetto sui microorganismi.

Le osservazioni di Van Leeuwenhoek ci danno un'idea di quanto sia difficile rimuovere i biofilm. Lavare in profondità, raschiare o spargere sostanze chimiche (biocidi) può contribuire a ridurli per un po' ma è impossibile uccidere ogni singolo membro di queste comunità microbiche. Anzi, i sopravvissuti allo sterminio creano immediatamente nuove colonie più forti di prima. Ma perché oggi assistiamo a un'apparente escalation di questo fenomeno?

Una delle ipotesi predominanti, almeno per gli Stati Uniti, è che ciò sia dovuto all'aria più pulita. Paradossalmente, l'applicazione del Clean Air Act varato negli anni Settanta avrebe ridotto l'acidità delle precipitazioni al punto che la pioggia non scalfisce più minimamente le comunità batteriche.

Inoltre, monumenti come quello a Jefferson stanno semplicemente raggiungendo un'età in cui l'erosione inizia a manifestarsi. Quando venne completato, nel 1943, il marmo del monumento era perfettamente liscio; nel tempo la superficie si è fatta più ruvida diventando un ambiente molto più invitante per i biofilm.

I biocidi a base di ammonio quaternario costituiscono un trattamento chimico che almeno temporaneamente riduce i biofilm e i loro effetti visibili. Ma Jacob si chiede se un trattamento che preveda interventi ciclici continuati sia effettivamente l'approccio migliore, considerato anche il loro impatto a lungo termine sull'ambiente.

“La strategia a cui stiamo lavorando ora non è mirata a uccidere i batteri, ma a disarmarli", spiega Federica Villa, microbiologa dell'Università di Milano che studia i biofilm della capitale americana con il Center for Biofilm Engineering della Montana State University. “Se riusciamo a capire i meccanismi alla base della formazione dei biofilm, troveremo soluzioni più eleganti rispetto al ricorso, o all'abuso, di biocidi e antibiotici".

Amici o nemici?

Nel frattempo, è in corso un dibattito fra conservatori e ricercatori: i biofilm danneggiano la superficie degli edifici? Se si, come si può rimediare? Se invece i biofilm offrono una protezione dagli agenti atmosferici, non si fa più danno rimuovendoli?

Poiché gli studi sui biofilm hanno preso quota negli anni Settanta, molti ricercatori hanno dato per scontato che la presenza di biofilm batterici e licheni impattasse allo stesso modo la pietra a causa degli effetti chimici o della penetrazione da parte di strutture di ancoraggio.

Anche il tempio di Bayon ad Angkor Wat in Cambogia è coperto da biofilm scuro. Fotografia di Jim Richardson, National Geographic
Le testimonianze di un effetto chimico o fisico diretto sono scarse, ma ci sono: uno studio egiziano pubblicato all'inizio del 2016 afferma che l'aumento dell'umidità nella stanza del sarcofago nell'Osireion di Abydos favorisce la crescita di una varietà di funghi che ha danneggiato chimicamente la pietra.

Villa invece avrebbe scoperto che i biofilm possono svolgere una funzione protettiva. La ricercatrice ha creato delle culture semplificate di queste comunità batteriche in speciali camere controllate dove può monitorarne la crescita. Le sue analisi finora suggeriscono che la patina previene l'eccessiva penetrazione dell'acqua - un nemico dei monumenti - nella pietra.

“Stiamo cercando ancora di capire come bilanciare le necessità estetiche con questo processo naturale", dice Catherine Dewey, capo della gestione delle risorse al National Mall e agli altri monumenti nella capitale americana. Dewey ha partecipato ad alcuni esperimenti di mitigazione effettuati con laser ad alta intensità.

Villa insiste che conoscere il tipo di microorganismi coinvolti in ogni sito, valutando caso per caso, è cruciale per determinare la dinamica in gioco. Per capirci, mentre i funghi di Abydos possono danneggiare l'arenaria dei suoi monumenti, i biofilm predominanti al Jefferson Memorial o in altri siti potrebbero proteggerli dagli agenti atmosferici. In poche parole, le condizioni sono troppo diverse da un luogo all'altro per poter affermare in maniera univoca se l'effetto dei biofilm sia positivo o negativo.

“Vogliamo scoprire non solo quali microorganismi sono presenti, ma anche come agiscono”, continua Villa. “Quello dei biofilm è un fenomeno molto diffuso. Quindi, se riusciremo a comprendrlo meglio, in futuro saremo in grado di modularlo e magari di applicare ciò che abbiamo scoperto anche nell'agricoltura, nell'industria o nel biorisanamento”.

http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2016/09/23/news/biofilm_sporco_monumenti-3243750/

About tricasandu

Mondo Tempo Reale è il blog che dal 2010 vi racconta le notizie più incredibili, strane, curiose e divertenti: fatti imbarazzanti, ladri imbranati, prodotti assurdi, ricerche scientifiche decisamente insolite.
{[['']]}
    Blogger Comment
    Facebook Comment

0 commenti:

Posta un commento