I lupi italiani sono unici al mondo. Ma si possono abbattere



Mentre gli scienziati confermano che Canis lupus italicus è una sottospecie a sé, il nuovo piano di gestione prevede uccisioni controllate “in mancanza di altre soluzioni valide”

Il predatore allo stesso tempo più amato, temuto e odiato dagli italiani sta facendo molto parlare di sé in questi giorni, perchè ci sono delle notizie che lo riguardano. La buona notizia è che dalla genetica arriva la conferma che i lupi italiani sono una sottospecie diversa dai lupi grigi europei; quella cattiva notizia è che sta per essere approvato un nuovo piano di gestione che conferma la possibilità di abbatterli in caso di necessità.

La conferma dell’unicità genetica dei lupi italiani arriva da uno studio dell’ISPRA, l'Istituto superiore per la Protezione ambientale. “Sin dagli albori della genetica molecolare, i lupi italiani risultavano sempre nettamente distinti dalle altre popolazioni di lupo di tutto il mondo”, spiega uno degli autori, “e via via che aumentavano i marcatori molecolari a disposizione, questi risultati si irrobustivano sempre più. In realtà, già nel 1921 un naturalista italiano, Giuseppe Altobello, sulla base dell’aspetto aveva descritto il lupo italiano come una sottospecie a sé stante, Canis lupus italicus. Ma serviva mettere insieme tutti i pezzi del puzzle, sia dal punto di vista fisico che genetico, per capire che aveva ragione. Alcuni indizi suggeriscono che l’unicità del lupo italiano può risalire addirittura al periodo glaciale, ma siamo al lavoro per capirlo meglio.”

Una sottospecie unica ed endemica della penisola italiana, dunque, di cui restano, si stima, tra 1.070 e 2.472 individui, con una mediana di 1580 lupi. La specie è fortunatamente in ripresa; numeri e ampiezza dell’areale fanno sì che non rientri nelle categorie a rischio dell'Unione internazionale per la Conservazione della Natura.

Gestire o abbattere?

Come per tutte le specie protette, anche per il lupo occorre un piano di gestione che coordini a livello nazionale, con la partecipazione di parchi e regioni, le azioni da intraprendere per aiutarlo sopravvivere. Il precedente era del 2002 ed è scaduto nel 2007, ma solo di recente è stato messo a punto un nuovo piano, la cui stesura è stata coordinata da Luigi Boitani e Valeria Salvatori.

Approvato il 24 gennaio dalla Conferenza Stato-Regioni, il piano è in attesa del via libera definitivo del Ministero dell'Ambiente, previsto per il 2 febbraio. Ma è già stato contestato da molti ricercatori, associazioni ambientaliste e semplici cittadini, che chiedono di modificarlo anche con una petizione che ha già raccolto quasi 150 mila firme.

Il piano elenca 22 azioni da intraprendere per proteggere il lupo: controllo del randagismo canino e dell’ibridazione tra cani e lupi, stesura di un rapporto sulla diffusione dei veleni, lotta al bracconaggio, prevenzione e compensazione degli eventuali danni causati dai predatori, campagne di informazione e monitoraggi per valutare l’andamento della popolazione. Ma il pomo della discordia e’ il 22mo provvedimento, che prevede la possibilità di abbattere fino al 5% della popolazione complessiva italiana, “a condizione che non esista un'altra soluzione valida[...] per prevenire gravi danni, segnatamente all'allevamento” o “nell'interesse della sanità e della sicurezza pubblica[...] inclusi motivi di natura sociale o economica”.

In realtà, gli abbattimenti in deroga alla legge che vieta di cacciare o comunque uccidere specie protette erano già previsti in casi estremi dal piano precedente, e sono contemplati dalla Direttiva Habitat. La differenza è che la nuova versione prevede un tetto massimo “rappresentato dal 5% della migliore stima del limite inferiore della popolazione: non si tratta pertanto di una quota”, spiega Valeria Salvatori, ricercatrice dell'Unione Zoologi italiani e co-coordinatrice del piano. Si trattava, sostiene Salvatori, di porre un limite massimo al prelievo in deroga; anche se “credo che nell'ultima stesura tale limite sia stato eliminato”. Nonostante tutto, conclude la studiosa, “rifare il piano era necessario perché il precedente non aveva trovato applicazione”.

Secondo Marco Galaverni, consigliere nazionale del WWF, “in questo nuovo piano si fa una maggiore chiarezza sulle responsabilità, sulle azioni specifiche per limitare l’uso di veleni, sulla regolamentazione della caccia in braccata, in cui spesso la preda diventa il lupo anziché il cinghiale, sulla revisione delle regole sul pascolo brado e semibrado, tutti fattori che hanno minato fortemente l’espansione naturale della popolazione negli ultimi anni. Tuttavia”, aggiunge, “mi risulta che nella versione uscita dal tavolo tecnico della Conferenza Stato-regioni non vengano individuate le fonti dei finanziamenti necessari a realizzare il piano, e questo rischia di minare seriamente anche i punti validi in esso contenuti”. C'è inoltre da chiedersi da chi il piano debba essere applicato: la prima bozza faceva riferimento al Corpo Forestale dello Stato, che nel frattempo è stato abolito.

Valeria Salvatori sottolinea che per la stesura del piano sono stati consultati circa 70 esperti, anche a livello regionale e territoriale, e diverse associazioni. “Un percorso inusuale, visto che i piani di gestione sono di solito redatti dall'ISPRA su incarico del ministero, senza consultazione alcuna”. Ed è proprio la previsione degli abbattimenti il punto che ha suscitato le maggiori disparità di vedute tra gli esperti consultati.

Gli esperti contro le uccisioni

Contattati per un'intervista, alcuni di questi ricercatori hanno preferito non esprimersi, forse per timore che le loro opinioni personali possano non essere condivise dall'ente per cui lavorano. Altri invece hanno colto l’occasione per togliersi qualche sassolino.

Alberto Meriggi dell’università di Pavia, ad esempio, sebbene invitato, ha preferito non partecipare alla consultazione. “Dall'impostazione”, dice, “si capiva già dove si voleva andare a parare, cioè al controllo numerico del lupo. Io non sono assolutamente d'accordo ma sarei stato una voce fuori dal coro. D'altra parte i piani di gestione, a differenza dei piani d'azione, prevedono di default il prelievo, proprio a scopo di controllo numerico. Non volevo mischiarmi con questa farsa messa in piedi da colleghi molto accondiscendenti nei confronti del potere politico, che a sua volta subisce le pressioni di categorie come allevatori e cacciatori. La verità è che allo stato attuale non c'è alcuna necessità di controllo numerico: basterebbe intervenire con metodi di prevenzione, che si sono dimostrati molto efficaci, e migliorando la gestione delle popolazioni di ungulati selvatici”. Meriggi cita diverse pubblicazioni scientifiche che, sostiene, confermano l’inefficacia degli abbattimenti di lupi per prevenire la predazione del bestiame.

Anche Marco Galaverni del WWF, sebbene sia meno caustico, è perplesso sugli abbattimenti in deroga: “Il problema”, dice, “è che gli abbattimenti sono stati percepiti come una soluzione ai danni al bestiame domestico e per ridurre il conflitto sociale, ma le prove dicono tutt’altro. In luoghi come la Francia, dove le uccisioni sono state autorizzate negli ultimi anni, non sono calati né i primi né il secondo. L’unica chiave per tutelare davvero gli allevatori e ridurre il conflitto è la prevenzione, poi la prevenzione e ancora la prevenzione”.

Ugualmente critico, ma in direzione opposta, e’ invece lo zoologo Paolo Forconi, che ritiene la popolazione italiana di lupi sottostimata, tanto da aver sostenuto in un breve articolo che potrebbe sopportare abbattimenti anche del 20-25%. “Ho partecipato solo alla prima riunione a cui sono seguite delle osservazioni scritte, inviate per email”, racconta. “Le risposte non sono state affatto esaurienti, per cui ho deciso di non partecipare alle successive riunioni. Secondo me le azioni previste dal piano non possono risolvere i problemi principali, come l'ibridazione con i cani, il conflitto con gli allevatori e il bracconaggio. Tutto rimarrà come prima”.

Secondo Forconi, “attualmente il lupo non è più a rischio di estinzione, secondo i criteri IUCN, per cui può essere soggetto ad un prelievo sostenibile, come tutte le specie animali. Possiamo obiettare alle uccisioni da un punto di vista etico, ma se l'obiettivo è la tutela dell'ecosistema, per una specie non a rischio è legittimo pensare a un prelievo sostenibile”; nel caso del lupo, una caccia regolamentata.

Un’opinione forte, che però attira dissensi anche tra ricercatori europei non coinvolti nella stesura del piano italiano. Lo zoologo Carles Vilá della Estación Biológica de Doñana, in Spagna, già consulente in materia della LAV, ritiene che se lo scopo è di ridurre il bracconaggio, gli sforzi dovrebbero essere rivolti a far rispettare le leggi esistenti e a fornire ai forestali e alle agenzie di protezione dell’ambiente il materiale e le risorse umane per continuare il loro lavoro in modo efficiente. Uccidere i lupi, prosegue, non contribuisce a ridurre i danni da lupo: secondo alcuni studi l'abbattimento di alcuni individui aumenta la predazione degli animali domestici invece di ridurla, a meno che non venga eliminato almeno il 30% dei lupi presenti, inclusi interi branchi. Infine, consentire gli abbattimenti dei lupi potrebbe cambiare la percezione del pubblico, che non li vedrebbe più come una specie protetta, ma come animali legittimamente cacciabili. La popolazione di lupi italiana è ancora troppo ridotta per poter essere certi della sua sopravvivenza nel lungo termine.

Resta quindi poco chiaro lo scopo del mantenimento della deroga, così invisa a molti, quando non è ben evidente come poter mettere in pratica, con che fondi e con che risorse, gli altri punti previsti dal piano. E sarebbe un peccato perdere una nuova sottospecie, subito dopo aver capito la sua unicità.

http://www.nationalgeographic.it/natura/animali/2017/01/31/news/lupi_piano_gestione_caccia_abbattimenti-3403733/

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