Il lato tenero dei trilobiti



Il ritrovamento di fossili dotati di tessuti molli perfettamente preservati ha permesso di ricostruire come si nutrissero queste creature dei mari di 500 milioni di anni fa

Nuove scoperte sui trilobiti, le bizzarre creature simili a insetti che dominarono i mari per centinaia di milioni di anni. Un team di paleontologi è riuscito a esaminare viscere, “zampe” (o meglio, appendici ventrali) e branchie di un animale vissuto quasi 500 milioni di anni fa. Pur avendo già classificato oltre 20 mila specie di trilobiti, gli scienziati sanno ancora poco di come si muovessero o si nutrissero: il motivo è che i tessuti molli dell'addome si sono deteriorati molto prima che cominciasse il processo di mineralizzazione dell'esoscheletro, che ha permesso che giungessero fino a noi i caratteristici fossili dall'aspetto "alieno".

Oggi due paleontologi, Diego García-Bellido, dell’Università di Adelaide, e Juan Carlos Gutiérrez-Marco, del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo, hanno studiato tre esemplari di trilobite Megistaspis hammondi risalenti a 478 milioni di anni fa e provenienti dal Marocco, donati da un collezionista privato, e li hanno descritti in un articolo pubblicato sugli Scientific Reports di Nature. E grazie allo stato quasi perfetto di conservazione dei tessuti molli, sono riusciti a ricostruire il modo di vivere dei trilobiti: a quanto pare, gli animali setacciavano laboriosamente gli strati superiori dei sedimenti marini, rastrellando il fango soffice alla ricerca di cibo e sostanze nutritive.

Gli scienziati hanno scoperto inoltre che l’apparato digerente dei trilobiti conteneva l’epatopancreas, un organo ghiandolare che nei moderni artropodi si trova soprattutto nei predatori, e che produce enzimi che aiutano ad assorbire e digerire il cibo. Era presente anche un gozzo, o ingluvie, una sacca che serve a immagazzinare e digerire il cibo e che è presente in alcuni uccelli e invertebrati moderni.

Da questi dettagli, i ricercatori hanno concluso che Megistaspis si nutriva principalmente di organismi in decomposizione filtrati dai sedimenti, ma all'occasione sapeva anche procurarsi pasti più sostanziosi.

“Se un artropode moderno si imbatte in un granchio morto, non fa di certo tante storie per mangiarlo, perché ha bisogno di energia”, spiega García-Bellido. “Proprio come gli artropodi moderni, i trilobiti erano molto versatili: per sopravvivere dovevano sfruttare a proprio vantaggio il loro ambiente ecologico”.

Ricostruire il puzzle

I fossili di Megistaspis stanno inoltre aiutando gli scienziati a conoscere le origini di una delle più comuni e misteriose caratteristiche di quel periodo: insolite “impronte”, frequenti nei sedimenti del Paleozoico, datati da 540 milioni a 250 milioni di anni fa.

Analizzando i tre fossili estratti dalla formazione di Fezouata in Marocco, lunghi una trentina di centimetri ognuno, García-Bellido e Gutiérrez-Marco hanno individuato quelle che sembravano essere spine, corte e robuste, sulle “zampe” dei trilobiti. E così si è accesa una lampadina.

“Mi sono chiesto: ‘Dove ho già visto questi segni?’ E il mio collega Juan Carlos, esperto di tracce fossili, ha continuato: “I trilobiti, con le loro spine, potrebbero essere gli autori dei ‘graffi’ presenti sulle tracce fossili dette Cruziana rugosa”, racconta García-Bellido.

Queste tracce non sono veri e propri resti dianimali, ma testimonianze fossili del loro passaggio. Le strane striature sono presenti in abbondanza nelle rocce di quello che un tempo era il supercontinente Gondwana, dalla cui frammentazione, circa 200 milioni di anni fa, sono nati Africa, Sud America, Australia, India e Antartide.

“La presenza di Cruziana è documentata per quasi tutto il Paleozoico, ma quella di Cruziana rugosa, in particolare, coincide sia nel tempo (tra 488 a 443 milioni di anni fa circa) che nello spazio con quella di Megistaspis”, spiega García-Bellido. “Le spine sulle ‘zampe’ combaciano perfettamente con i ‘graffi’ presenti sulle tracce di Cruziana rugosa”.

Secondo Greg Edgecombe, ricercatore al Museo di storia naturale di Londra ed esperto di trilobiti, parte della difficoltà nell’associare i trilobiti a tracce di Cruziana rugosa risiede nel fatto che queste e i trilobiti sono stati solitamente rinvenuti in sedimenti appartenenti a diverse epoche preistoriche.

“Studiosi autorevoli hanno perfino messo in dubbio che tracce fossili come Cruziana fossero effettivamente prodotte dai trilobiti, ipotizzando che a lasciarle fossero stati altri tipi di artropode”, spiega Edgecombe. “Gli autori di questo studio, invece, sono riusciti a mostrare le corrispondenze tra l'anatomia di Megistaspis e una serie di tracce raccolte in sedimenti dell'Ordoviciano provenienti da varie parti del mondo".

García-Bellido prosegue il suo lavoro di ricerca - parte del quale finanziato da National Geographic - indagando l’origine della vita nei sedimenti di 540 milioni di anni fa ad Emu Bay, in Australia. Il ricercatore sostiene che le scoperte su Megistaspis dovrebbero incoraggiare altri studiosi a ricercare le parti molli dei trilobiti e altre possibili corrispondenze fra “zampe” e tracce fossili.

“C’è ancora tanto da scoprire”, conclude. “Se vogliamo conoscere il comportamento e la struttura interna dei trilobiti, al di là forma e dimensioni, dobbiamo proseguire con le ricerche”.

http://www.nationalgeographic.it/scienza/2017/02/07/news/alla_scoperta_dei_trilobidi_strane_creature_dei_mari_antichi-3414687/

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