Scoperte le primissime forme di vita?

Una moderna fonte idrotermale al largo delle Galapagos. Fotografia  Universal History Archive, Uig, Getty Images
Filamenti di minerali ricchi di ferro, ciascuno dei quali molto più sottile di un capello, potrebbero essere ciò che rimane delle primissime forme di vita comparse sul nostro pianeta, poco dopo la sua nascita. Secondo gli scienziati che li hanno scoperti, questi minuscoli tubuli di ematite potrebbero avere fino a 4,28 milioni di anni, e sono incredibilmente simili a strutture prodotte dai microbi che tuttora vivono in prossimità delle sorgenti idrotermali.

Scoperti in frammenti di roccia raccolti nel Nord del Quebec, i microscopici detriti metallici - che portano su di sé “firme” chimiche associate ad antiche forme di metabolismo - sarebbero dunque la prova che la vita è apparsa sulla Terra molto prima di quanto si pensasse: finora infatti si pensava che le tracce di vita più antiche fossero le stromatoliti di 3,7 milioni di anni fa ritrovate in Groenlandia.

I microfossili confermerebbero anche la teoria secondo cui le acque calde, profonde e ricche di minerali attorno alle fonti idrotermali sommerse sono ambienti ideali per la nascita della vita, sia sul nostro pianeta che, eventualmente, sul fondo degli oceani ghiacciati di alcuni satelliti, o magari in altri punti dell’universo.
“Se davvero sono corrette le analisi e le interpretazioni del team di studiosi”, sostiene Kevin Hand, della NASA, “allora la vita è emersa molto presto sulla Terra, subito dopo che il pianeta aveva iniziato a stabilizzarsi. Non appena la ‘schiuma geologica’ cominciò a raffreddarsi, la biologia si affermò come processo tipico del nostro pianeta”.



Pur essendo ricchi di ferro, però, questi fossili potrebbero non fornire prove ferree sulla presenza di forme di vita così antiche. Alcuni scienziati dubitano che si tratti di resti di microbi; altri sostengono che l’età dei cristalli che contengono i presunti microfossili è controversa, e potrebbe essere più tarda anche di un miliardo di anni.
“Queste rocce hanno una storia lunga e complicata”, dice ad esempio Nigel Kelly della University of Colorado di Boulder; “sarà sempre difficile stabilirne con certezza l’età e l’origine”.

Residui organici

Nel 2008, un team guidato da Dominc Papineau, dello University College di Londra, ha raccolto le rocce dalla formazione di Nuvvuagittuq, sulla costa orientale della Baia di Hudson, dove un tempo una sorgente idrotermale rovesciava lava sul fondo marito. Sono tra i frammenti di roccia più antichi del pianeta, e conservano tracce dell’ambiente marino della Terra preistorica.

In realtà gli studiosi non erno a caccia di microfossili, ma qualcosa di ancora più difficile da scovare: le tracce organiche dei primi microrganismi.
“Secondo un’ipotesi ormai consolidata, la vita potrebbe aver avuto origine negli ambienti idrotermali. I depositi canadesi erano di certo un luogo promettente per la ricerca dei segni di vita primitiva”, dice Matthew Dodd, studente di dottorato all’UCL.

I ricercatori hanno tagliato le rocce in sezioni molto sottili; guardandole al microscopio, hanno notato i fossili, che si trovavano raccolti in cristalli a loro volta incastonati nelle rocce. Pur minuscole, erano strutture notevolmente intricate e complesse, tanto che il team si è insospettito: forse non si trattava solo di tracce organiche.
La situazione ricordava una scoperta che fa discutere ancora adesso. Nel 1996, esaminando un meteorite di origine marziana trovato in Antartide, un gruppo di scienziati individuò altre strutture tubolari che sembravano resti di organismi viventi. Oggi la maggior parte degli scienziati crede che non fossero di origine vivente, ma la questione è ancora controversa.

Forse ricordando quell’incidente, Dodd e i suoi colleghi hanno cercato ogni sorta di conferma che le strutture che avevano trovato fossero residui di una forma di metabolismo e non solo pezzi di roccia dilavati dall’acqua di mare. Studiando i materiali che circondavano i fossili, hanno trovato composti contenenti carbonio che sembravano recare l’impronta di un processo biologico. Inoltre, i fossili erano circondati da minerali contenenti fosforo, un elemento presente nei “mattoncini” alla base della vita, e liberato dagli organismi durante la decomposizione. C’erano altri due possibili tracce di processi biologici: granuli di materiali carboniosi e ferro ossidato. Inoltre, sostengono gli studiosi, i tubuli e i filamenti erano disposti in maniera meno casuale di quanto sarebbe successo se non fossero stati di origine biologica.
“Sono tutte fonti di prova chimiche indipendenti l’una dall’altra che, associate con la struttura dei microfossili, mostrano che si tratta di materia organica di origine biologica”, conclude Dodd. Gli studiosi hanno anche comparato i microfossili con altre strutture di origine microbica trovate intorno a fonti idrotermali di 480 e di 150 milioni di anni fa, rispettivamente in Norvegia e negli Stati Uniti, e con microrganismi che vivono attualmente attorno alle sorgenti sommerse. In tutti i casi, le somiglianze sono impressionanti: tutte prove che i microfossili sono residui di esseri viventi, concludono gli autori nell’articolo pubblicato sulla rivista Nature.

Un tratto della formazione di Nuvvuagittuq, in Canada, dove sono stati trovati i presunti microfossili. Fotografia di Dominic Papineau
Le critiche

Ma non tutti sono convinti. Le prove chimiche addotte per dimostrare l’origine biologica - in particolare l’analisi dei composti di carbonio - sono deboli e ambigue, sostiene ad esempio Dina Bower, geobiologa al Goddard Spaceflight Center della NASA. E aggiunge che tubuli e filamenti potrebbero essere stati formati dal fluido idrotermale o da un altro processo che ha deformato la roccia, sebbene gli autori della ricerca abbiano scartato l’ipotesi. “Non sono convinta che le strutture siano biogeniche”, conclude Bower.

Anche se si trattasse con ogni sicurezza di fossili, resta da risolvere la questione della loro età. Usando due tipi diversi di misurazione basata sugli isotopi, Dodd e colleghi hanno concluso che le rocce debbano avere tra i 3,77 e i 4,28 miliardi di anni. Ma altri scienziati, tra cui Kelly, sostengono che in rocce così complesse determinare l’età di ciascuna caratteristica è difficile, e la datazione non può essere così accurata. Secondo lui le strutture che contengono i fossili (ammesso che fossili siano) potrebbero essere anche parecchio più recenti: “solo” 2,7 miliardi di anni. A quell’epoca, l’intera formazione di Nuvvuagittuq fu drasticamente alterata da cicli di alte pressioni e alte temperature indotti dall’attività tettonica, che potrebbero aver allungato, piegato e distorto le rocce, distruggendo qualsiase fossile rimasto.
Dodd ribatte che è già stato provato in diversi casi che i fossili possano sopravvivere anche a eventi così devastanti. “L’idea che le rocce metamorfiche non possano preservare i fossili è datata”, dice.

Al di là della Terra

Se lo studio dovesse rivelarsi corretto, significherebbe che organismi già relativamente complessi si fossero evoluti già prima di perdere la loro “pelle” ferrosa e che prosperassero già poche centinaia di milioni di anni dopo la violenta nascita del pianeta: un battito di ciglia, in termini geologici, che manda in fibrillazione gli scienziati che indagano sulla possibile presenza di vita nel cosmo. In particolare, gli oceani ghiacciati presenti su satelliti di Giove e Saturno si rivelerebbero i luoghi ideali in cui cercare organismi viventi.

“È una scoperta molto interessante, che incoraggia l’entusiasmo per le prossime missioni verso Europa ed Encelado”, dice Chris McKay della NASA. “Su Europa la presenza di fonti idrotermali è data per scontata, e per Encelado è supportata da diversi segnali diretti”.

Ancora più interessante è considerare che i microfossili canadesi sono completamente diversi dagli stromatoliti, microrganismi fotosintetici come quelli vecchi di 3,7 miliardi di anni scoperti in Groenlandia. La loro contemporanea presenza fa pensare a quanto sia stata ostinata la vita, a come si sia diversificata per sopravvivere anche mentre la Terra era in preda a spasmi tellurici, eruzioni vulcanici e bombardamenti di rocce dallo spazio.

“Magari viviamo davvero in un universo biologico”, dice Hand, “in cui tanti diversi alberi della vita popolano mondi vicini e lontani, vecchi e giovani”.

http://www.nationalgeographic.it/multimedia/2017/03/02/video/fossili_piu_antichi_del_mondo-3444630/1/

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