Il giallo dei primi americani

Due teste di femore di mastodonte, sono tra i reperti ritrovati nel sito Cerutti, vicino a San Diego. Fotografia di San Diego Natural History Museum 
C'erano ominidi in California già 130 mila anni fa? L'ipotesi di un'équipe di studiosi riscriverebbe la storia dell'uomo, ma la comunità scientifica è scettica

Ha già suscitato accese polemiche l’annuncio di un gruppo di ricercatori che sostiene di aver trovato in California segni di presenza umana risalenti a un periodo tra 120 mila e 140 mila anni fa, oltre 100 mila anni prima di quando, sulla base delle evidenze scientifiche finora disponibili, si pensava che gli esseri umani fossero sbarcati nelle Americhe. Se davvero è corretta l’analisi pubblicata su Nature, il cosiddetto sito Cerutti potrebbe riscrivere la storia dell’umanità.

“Mi rendo conto che 130 mila anni sono davvero tanti”, dice Tom Démeré, paleontologo del San Diego Natural History Museum e principale autore della ricerca. “Se l’ipotesi fosse esatta, il nostro sarebbe il sito archeologico più antico di tutte le Americhe. Certo, affermazioni straordinarie come questa richiedono evidenze straordinarie a sostegno, ma noi crediamo che il sito Cerutti le fornisca”.

Prima di tutto va chiarito che nel sito non sono stati trovati resti umani. Ma secondo Démeré e colleghi, i reperti scoperti - uno scheletro di mastodonte, scheggie di ossa e diverse grosse 
pietre - dimostrerebbero il sito fosse una “cava d’ossa”: qui gli ominidi di una specie ancora da determinare avrebbero spaccato con grosse pietre le ossa fresche di mastodonte, forse per estrarne il midollo o per ottenere dallo scheletro materie prime per i loro utensili.

Molti tra i principali esperti di archeologia americana hanno già accolto con maggiore o minore scetticismo queste conclusioni. Qualcuno le respinge del tutto.

"Il tema della prima occupazione umana delle Americhe è altamente controverso", dice ad esempio John McNabb, archeologo della University of Southampton. “Ma chiedere di considerare la data di 130 mila anni fa ad archeologi abituati a discutere su 12, 13 o 14 mila anni fa è davvero un po' troppo. Il salto temporale è enorme”.

Ecco i punti principali della scoperta e le reazioni dei nostri esperti.

Dov'è il sito, e quando è stato scoperto? 

Il cosiddetto sito Cerutti è stato scoperto nel 1992, quando un escavatore portò alla luce grossi frammenti di ossa durante i lavori di costruzione della California State Route 54, nella contea di San Diego. In caso di lavori importanti, il Dipartimento dei Trasporti della California richiede che ci sia un paleontologo reperibile per esaminare eventuali ritrovamenti. Quel giorno era di turno Richard Cerutti del San Diego Natural History Museum, che ha dato il nome al sito e in seguito ha dato il via agli scavi assieme a Déméré (quest'ultimo nel 1993 ha anche ottenuto un fondo di ricerca della National Geographic Society). 

Fin dall'inizio Déméré pensò che il sito fosse piuttosto insolito, per diversi motivi: c'erano diverse pietre, e attorno alle più grandi comparivano grandi quantità di schegge d'osso. I resti di mastodonte erano poi disposti in modo curioso; ad esempio, una zanna era conficcata verticalmente nel terreno.

Ma se il sito è stato scoperto nel 1992 ed esplorato nel 1993, perché se ne parla solo adesso?

Il problema principale è stato ottenere una datazione accurata del sito. Solo tra il 2011 e il 2012 Jim Paces dello U.S. Geological Survey ha potuto datare con precisione le ossa di mastodonte, basandosi sul loro contenuto relativo di uranio e torio.

Inoltre Deméré era impegnato in numerosi progetti: dopo aver scritto un breve rapporto nel 1995 si era dedicato ad altre ricerche, tra cui una sull'evoluzione delle balene. Ma nel frattempo il suo rapporto era cominciato a circolare, e un piccolo gruppo di complottisti del web aveva cominciato ad affermare che le tracce della prima presenza umana nelle Americhe erano state "censurate". Un'accusa che lo studioso smentisce recisamente: "Nessuno ha mai detto: dimenticatevi del sito", spiega. "È solo una bufala".

Ok, ma che prove abbiamo? 

Per cominciare, dice l'archeologo Richard Fullagar, che ha fatto parte del team di ricerca, sulle rocce appaiono segni compatibili con quelli che si trovano sugli utensili di pietra, specie se utilizzati per rompere ossa.

Poi c'è la questione della loro posizione. Il sito era sepolto nella siltite, una roccia che si forma per accumulo di sedimenti sottili, come quelli che vengono trasportati da corsi d'acqua molto lenti e deboli. Ma le grosse pietre ritrovate sono molto più pesanti delle particelle circostanti: una sfiora i 15 chili. Sembra difficile che l'acqua possa averle trasportate fin qui: forse sono stati esseri umani.


Costole e vertebre di mastodonte ritrovate intatte nel sito Cerutti. 
Fotografia San Diego Natural History Museum

Inoltre, le fratture sulle ossa di mastodonte fanno pensare che siano state spaccate mentre erano ancora fresche, e secondo i ricercatori non può essere successo per cause naturali. È molto improbabile, ad esempio, che sia stato un altro grosso animale a calpestarle, visto che ossa più fragili, come le costole e le vertebre, sono meno danneggiate. Né può essere stato un animale più piccolo, visto che nessun carnivoro saprofago sarebbe stato in grado di rosicchiare fino al midollo un femore di mastodonte fresco.

L'équipe ha anche effettuato un esperimento, usando percussori e incudini di pietra per spezzare ossa di elefante fresche, e ottenendo linee di frattura simili a quelle ritrovate sui mastodonti del sito Cerutti.

Interessante! Ma allora perché gli altri esperti sono così scettici?

Una delle critiche più diffuse è che lo studio non esclude del tutto che la presenza delle pietre, i segni che vi compaiono, e le linee di frattura sulle ossa di mastodonte possano avere cause naturali.

Secondo Tom Dillehay, archeologo della Vanderbilt University, non c'è la dimostrazione definitiva che le pietre siano giunte sul sito a causa di un evento naturale, e che ad esempio si siano consumate sbattendo l'una contro l'altra mentre venivano trascinate da un corso d'acqua.

Non è impossibile che la storia umana nelle Americhe sia più antica di quanto si pensi, aggiunge David Meltzer, archeologo della Southern Methodist University e beneficiario di un fondo National Geographic; "ma per provarlo non basta presentare qualche ossa e qualche pietra senza dimostrare al di là di ogni dubbio che non può essere stata la natura a modificare quelle ossa e quelle pietre".

Ci sono altri dubbi sugli strumenti di pietra?

Secondo diversi archeologi, anche l'assenza di certi utensili è un problema. Di solito nei siti in cui vengono ritrovati percussori sono presenti anche altri utensili litici ottenuti per scheggiatura, oltre appunto alle schegge prodotte dalla loro costruzione e dal loro uso, fa notare Jim Adovasio, l'archeologo che ha scavato a Meadowcroft Rockshelter, uno dei siti più antichi dell'America settentrionale. Strumenti di questo tipo sono completamente assenti nel sito Cerutti, che pure, secondo la nuova ricerca, risalirebbe a un periodo in cui esistevano ominidi in grado di fabbricare sofisticate asce bifacciali.

"Gli autori sostengono che i reperti di Cerutti sono coerenti con quelli ritrovati in molti altri siti", afferma Adovasio. "Mi dispiace, ma semplicemente non è vero".

Steve Holen, un altro degli studiosi impegnati nella ricerca, respinge al mittente l'accusa, sostenendo che in numerosi altri siti americani non compaiono utensili ottenuti per scheggiatura. Da 25 anni Holen studia due siti in Kansas e Nebraska, risalenti a 33.000-14.000 anni fa: anche queste, sostiene, erano "cave di ossa" in cui gli esseri umani dell'epoca non usarono mai pietre scheggiate, proprio come al Cerutti.

Andy Hemmings, un altro archeologo impegnato presso un sito preistorico della Florida, è scettico sul perché i presunti ominidi californiani avrebbero distrutto le ossa di mastodonte. Sul sito è stato trovato un dente di mastodonte spaccato: "Certo non   potevano trarne midollo", dice. "Quanto alle altre ossa, sono ancora tutte lì, quindi non furono reimpiegate come utensili".


Il paleontologo Don Swanson indica un frammento di roccia vicino a un grosso pezzo di zanna di mastodonte. 
Fotografia San Diego Natural History Museum

Ma se le pietre fossero davvero utensili, la presenza umana non sarebbe dimostrata?

Non necessariamente. L'uomo e i suoi antenati non hanno il monopolio sull'uso di strumenti. Da almeno 4.000 anni gli scimpanzé della Costa d'Avorio spaccano le noci con le pietre. In Brasile, i cebi barbuti fanno lo stesso con gli anacardi da almeno un centinaio di generazioni.

C'è però da dire che nella documentazione fossile non risulta che 130 mila anni fa nel continente americano vivesse un primate non americano in grado di succhiare il midollo dalle ossa di grandi animali. I cebi non sarebbero certo in grado di sollevare una roccia da quasi 15 chili, come quella ritrovata sul sito californiano; in più "non sono in grado di generare l'energia cinetica necessaria a spaccare un osso di mastodonte", spiega Dorothy Fragaszy, studiosa della University of Georgia e National Geographic Explorer, che fa ricerca proprio sui cebi e sulla loro capacità di utilizzare strumenti. “Sono d'accordo con gli autori", dice: "se quelli di Cerutti sono percussori, solo gli esseri umani possono averli usati".

Michael Haslam, un altro esperto dell'uso di utensili nei primati non umani, concorda. "Penso che gli autori abbiano presentato evidenze sufficienti a sostenere che sulle ossa di mastodonte siano stati adoperati strumenti litici", dice. "Complessivamente, penso che dobbiamo partire dall'ipotesi che sul sito ci fossero esseri umani".

Ma allora è possibile che quegli antichi californiani fossero miei antenati?

Forse. Ma anche se la teoria fosse confermata, è estremamente improbabile che fossero Homo sapiens come noi. Secondo le evidenze scientifiche, i primi appartenenti alla nostra specie lasciarono l'Africa non prima di 120 mila anni fa. All'epoca, però, c'erano almeno quattro specie di ominidi che vivevano nell'Asia orientale, tra cui tre che sarebbero potute migrare nelle Americhe (la quarta, Homo floresiensis, il cosiddetto "hobbit" dell'isola indonesiana di Flores, è con tutta probabilità fuori gioco).

Forse a Cerutti c'erano ominidi della specie Homo erectus, nostri antenati diretti, i primi a controllare il fuoco? O i neandertaliani, che 130 mila anni fa erano arrivati almeno nell'attuale Kazakistan? O ancora i denisoviani, l'enigmatico gruppo di ominidi asiatici noto solo per i campioni di DNA ritrovati in un'unica grotta siberiana? Rispondere, per ora, è impossibile.

Come avrebbero fatto queste specie a raggiungere in America? 

Le ipotesi sono diverse a seconda della datazione del sito. Se risale a 140 mila anni fa, gli ominidi potrebbero essere arrivati nelle Americhe percorrendo la Beringia, il ponte di terra che un tempo collegava la Siberia all'Alaska, sostiene McNabb. Ma 120 mila anni fa l'ultimo periodo interglaciale era cominciato da tempo, e il livello del mare era molto più alto. Qualunque migrante avrebbe dovuto navigare in mare aperto per almeno una cinquantina di miglia. Tuttavia, 130 mila anni fa gli ominidi sapevano già attraversare il mare aperto, come dimostrano gli utensili ritrovati sull'isola di Creta, che non è mai stata collegata al continente con un ponte di terra.

Finora però nulla dimostra che la Siberia fosse popolata da ominidi prima di 30 mila anni fa; a maggior ragione, è ben più difficile ipotizzare che abbiano potuto attraversare lo stretto di Bering 100 mila anni prima. "E sostenere che l'abbiano fatto navigando è ancora più improbabile", conclude McNabb.


Il primo piano di un femore di mastodonte con i segni di frattura. Fotografia di Tom Deméré, San Diego Natural History Museum

Qualcuno ha mai sostenuto che gli umani fossero arrivati così presto in America? 

La questione è sempre stata oggetto di aspri dibattiti, ma finora si scontravano su un paio di migliaia d'anni di differenza, non su 100 mila.

Per decenni è stata questa la teoria comunemente accettata: circa 13 mila anni fa, un corridoio di terra libero da ghiacci si aprì tra l'Alaska e il Montana, liberando una strada per un gruppo di esseri umani che in precedenza erano arrivati sul continente attraversando a piedi la Beringia. Nel giro di 500 anni, quei migranti popolarono tutte le Americhe, spargendo tipici manufatti a punta che sono diventati il marchio di fabbrica della cosiddetta cultura Clovis.

Ma a partire dagli anni Settanta, alcuni archeologi - tra cui Adovasio e Dillehay - hanno trovato tracce di siti più antichi, come Meadowcroft Rockshelter, in Pennsylvania, e Monte Verde, in Cile (entrambi gli scavi sono stati in parte finanziati dalla National Geographic Society). Le polemiche sull'autenticità di questi siti "pre-Clovis" sono state accanite e spesso macchiate da ostilità personali: Dilehay ha impiegato quasi due decenni a convincere la comunità scientifica che il sito di Monte Verde fosse più antico della cultura Clovis, e alcuni suoi colleghi ancora si oppongono alla teoria.

Figuriamoci quando si parla di anticipare di 100 mila anni la presenza umana nelle Americhe, come fanno gli autori della ricerca sul Cerutti. In passato qualcuno ci ha provato, ma ulteriori ricerche l'hanno sempre smentito. Negli anni Sessanta, ad esempio, il celebre paleontologo Louis Leakey ottenne diversi finanziamenti dalla National Geographic Society per i suoi scavi a Calico Hills, un sito californiano in cui si diceva fossero presenti utensili di pietra vecchi appunto di 100 mila anni. In seguito si scoprì che per la sua conformazione geologica nella zona sono presenti pietre scheggiate del tutto indistinguibili da utensili di fabbricazione umana. "Nessuno è mai più tornato su quel sito", dice Dillehay. "Leakey e tutti i suoi colleghi che l'avevano studiato rimasero bruciati, per così dire. Nella scienza succede".

Si può fare qualcosa per corroborare la teoria? 

Sì. Attualmente Deméré e colleghi stanno esaminando le rocce del Cerutti alla ricerca di tracce di proteine. Se davvero erano utensili di pietra usati per rompere le ossa di mastodonte, con ogni probabilità nelle crepe delle pietre sono ancora annidati microscopici frammenti dell'animale. I ricercatori vorrebbero anche ritornare a effettuare scavi sul sito, che oggi è parzialmente coperto da un terrapieno che serve ad attutire i rumori della strada adiacente. Nel frattempo, si preparano a difendere la loro tesi dalle critiche che per anni, se non per decenni, pioveranno loro addosso.

"Siamo i primi a chiedere che la nostra ipotesi sia esaminata attentamente e, se possibile, falsificata", conclude Démeré. "È così che funziona la scienza, no? Si facciano avanti".

http://www.nationalgeographic.it/scienza/2017/04/27/news/umani_california_mastodonti_130000_anni_fa-3505618/

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