Quando Babbo Natale fu assassinato - Il Secolo XIX



Un anno particolarmente disgraziato per Babbo Natale fu il 1951: due regimi ideologicamente opposti come l’Unione Sovietica e la Spagna franchista lo misero al bando e addirittura un delegato canadese dell’Onu dichiarò di voler portare all’attenzione di quel supremo consesso il caso di quel “mito pericoloso”, di cui era necessario sbarazzarsi per sempre, in quanto gravemente nocivo all’educazione e allo sviluppo psicologico dei bambini. In Francia autorevoli prelati espressero la loro disapprovazione per la crescente deriva dei valori cristiani del Natale che, a loro dire, riscontravano presso le famiglie cattoliche. Sul sagrato della cattedrale di Digione, in Francia, Babbo Natale fu impiccato alla cancellata della chiesa e poi bruciato dal clero, davanti a 250 bambini terrorizzati, al grido di “usurpatore ed eretico”.

Un famoso etnologo, Claude Lévi-Strauss scriverà un celebre saggio, Babbo Natale giustiziato, sull’onda di quell’episodio. L’effetto di quel gesto fu controproducente, perché il dibattito che ne seguì fece emergere proprio le radici precristiane della festa della Natività. Chi ama l’avventura può viaggiare nella catena montuosa dell’Hindu Kush, l’antico Paropamiso al confine tra Pakistan e Afghanistan, dove esiste una popolazione tribale, i Kalasha, che ha conservato la fede nelle proprie divinità pagane. Nei giorni del solstizio d’inverno giovani, uomini e donne liberano i loro freni inibitori e rovesciano ritualmente le norme che ne regolano la società, allo scopo di renderle più salde nel nuovo anno entrante. Mangiano l’agnello, bevono il vino, si scambiano doni, si lanciano in danze sfrenate. Attendono l’arrivo di una divinità che porterà loro la luce nel periodo più buio dell’anno e donerà la fertilità della terra e della prole.

L’odierno Babbo Natale era ritornato in Europa, al seguito del Piano Marshall, e i suoi regali avevano aiutato l’infanzia ad alleviare le ferite lasciate nell’animo dalle macerie della seconda guerra mondiale. A Digione, in quell’anno di grazia 1951, il 25 dicembre Babbo Natale fu resuscitato e si presentò sulla piazza principale della città francese, davanti ai bambini appositamente convocati per restituire loro un sorriso.

Negli Stati Uniti gli emigranti olandesi avevano portato con sé nel Nuovo Mondo le storie leggendarie di San Nicola, in olandese Sinter Klaas, da cui deriva l’attuale Santa Claus. Nel 1809 Washington Irving riesumò una leggenda in una sua novella, destinata ad avere uno straordinario successo e accrescere notevolmente la popolarità di Santa Claus. Alcuni marinai olandesi, diretti in America nel secolo XVII, si sarebbero trovati in difficoltà con la loro imbarcazione, la cui polena aveva scolpita la statua di San Nicola.

Ad un marinaio apparve in sogno il santo, indicandogli con le volute della sua pipa, il luogo (l’isola di Manhattan) dove gli emigranti olandesi avrebbero dovuto costruire una nuova città. In cambio Sinter Klaas promise di tornare ogni anno, scendere dal cielo attraverso i camini e portare regali ai bambini della nuova città. Nasce così Nuova Amsterdam, destinata a divenire in seguito New York. San Nicola è una delle figure di riferimento più immediate a cui è accostato Babbo Natale, anche se è controversa questa ascendenza dal vescovo di Mira, intorno al 312 in Asia Minore, protettore, tra gli altri, dei bambini. Il Concilio Vaticano II ha decretato che leggende di miracoli a lui attribuiti derivano da tradizioni pagane, non cristiane.

Nel 1823 altrettanto successo riscuote negli Stati Uniti la poesia di Clement Clarke Moore, The Night before Christmas, che nelle sue intenzioni era destinata all’ambito familiare, ma finì, per iniziativa di un amico, su un quotidiano locale e fu poi divulgata su varie testate. Un abile disegnatore, Thomas Nast aveva ideato per la più importante rivista dell’epoca un’illustrazione in cui Santa Claus appariva piccolo e rotondetto, avvolto nella bandiera a stelle e strisce, intento a distribuire doni ai soldati nordisti. Lo stesso autore nel 1885, seguito da altri, s’inventa la dimora di Babbo Natale al Polo, mentre l’abito del personaggio acquista il cappuccio, la cintura nera e gli stivali...oltre all’indispensabile sacco ricolmo di giocattoli, al posto dell’antecedente gerla.

L’affermazione di Santa Claus cresce di pari passo con gli ideali e il progresso del way of life americano. All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso la Coca Cola vuole ampliare il proprio mercato ad una clientela giovanile, ma la promozione della bevanda gassosa è frenata da una serie di norme restrittive alla sua campagna pubblicitaria, ancora in vigore nonostante la ricetta ormai non contenesse più residui di foglie di coca. Un’intuizione geniale porta a scegliere come testimone la figura di Santa Claus, il quale è rivestito con i colori bianco e rosso del marchio della Coca Cola, che da allora non smetterà più d’indossare. Fu forse un caso, ma i colori sono gli stessi dell’amanita muscarina, il fungo di cui gli sciamani si servono per compiere i loro viaggi nel mondo degli spiriti e del quale le renne sono ghiottissime.

Chi certamente doveva essere affascinato dal simpatico personaggio con la barba bianca fu John Ronald Reuel Tolkien, il celebre autore di The Hobbit e Il Signore degli Anelli. Nel 1920 il primogenito John, all’età di tre anni, si vide recapitare una lettera; conteneva un disegno di Babbo Natale, faticosamente in cammino nella neve con un pesante sacco sulle spalle, ed iniziava con le parole:« Ho sentito che hai chiesto a papà che aspetto ho e dove vivo» e gli suggeriva, data l’età, di chiedere aiuto al genitore per leggerla.

Lo scrittore continuerà, a nome di Babbo Natale, ad inviare lettere ai quattro figli, per i successivi 22 anni, fino a quando l’ultima nata Priscilla, non avrebbe compiuto 14 anni. In queste missive, recanti francobolli disegnati del Polo, ricche di affascinanti illustrazioni, ed intestate “Cliff House, In cima al mondo, Vicino al Polo Nord”, Babbo Natale narrava le difficoltà che doveva affrontare nella consegna dei regali, dalla fuga delle renne ai sotterfugi dei goblins per impadronirsi dei pacchi dono destinati ai bambini.

Accanto a lui il suo amico ed aiutante orso polare, spesso pasticcione e involontario protagonista di disavventure. Nella lettera del 1925 Father Christmas lamenta, ad esempio, che per riprendere il suo berretto volato via sulla vetta del Polo Nord l’orso era scivolato e precipitato sul tetto della sua casa, sfondandolo e trascinando con sé la neve che aveva spento il fuoco e danneggiato i regali di quell’anno. Nella caduta l’orso si era rotto una zampa, Babbo Natale/Tolkien informava il figlio:« Ora sta di nuovo bene, ma mi sono arrabbiato così tanto che ha detto che non mi aiuterà mai più. Penso di avere ferito il suo orgoglio, e che quello non guarirà prima del prossimo anno ».

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