Nel mondo una persona su 10 soffre di una malattia mentale

Comprendono malattie psichiatriche come ansia, depressione, disturbi bipolari e neurologiche come Alzheimer e demenza e nel mondo ne soffre quasi una persona su 10.

Sono i disturbi mentali, che in Europa colpiscono circa il 25% delle persone ogni anno. Un problema di proporzioni enormi con ricadute sociali altrettanto grandi: nei Paesi ad alto reddito i disturbi mentali rappresentano la principale causa di perdita in anni di vita per morte prematura e disabilità.

Secondo i dati Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) depressione, schizofrenia, disturbi bipolari riducono infatti la speranza di vita media di circa venti anni rispetto alla popolazione generale. Nel corso della vita, una persona su due avrà esperienza di un disturbo mentale e una conseguente riduzione delle opportunità di occupazione, di produttività e di salari.

Ingenti sono anche le ricadute economiche: i costi (diretti e indiretti) delle malattie mentali (statistiche Ocse) possono superare il 4% del Pil (Prodotto interno lordo).

Tra il 2011 e il 2030, secondo un rapporto dell’Harvard School of Public Health e del World Economic Forum, il costo delle malattie mentali in tutto il mondo sarà di oltre 16 trilioni di dollari in termini di mancata produzione.

La spesa per i servizi dedicati alla salute mentale aumenta in maniera significativa quando il Pil procapite arriva a quota 20.000 dollari ma solo l’1% delle risorse umane in sanità è impegnato in questo ambito: meno di uno psichiatra per centomila abitanti, secondo gli esperti dell’ OMS.

Partendo da questi dati, John Prideaux, giornalista dell’Economist in un suo articolo specula sulla relazione tra malattia mentale e sviluppo economico.

Le risorse necessarie alla diagnosi e alla cura delle malattie mentali sono direttamente proporzionali alla ricchezza di una società e non è il progresso che fa ammalare le persone, sostiene Prideaux, sottolineando come una delle ragioni si debba cercare negli indicatori cogenti del “comportamento normale” nei posti di lavoro nel settore dei servizi oggi. Lavorare direttamente con i clienti richiederebbe al cervello prestazioni diverse da quelle necessarie al lavoro nei campi o in fabbrica.

A tutto questo si aggiunge poi l’insufficiente aderenza alle terapie prescritte.In Italia, infatti, secondo i dati del rapporto OsMed 2014 (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali), solo il 20% delle persone in trattamento con antidepressivi li assume in modo appropriato e continuativo. Una quota rilevante (50%) li sospende entro i primi tre mesi e più del 70% nei primi sei mesi. Stringente e inderogabile dunque è la necessità per i sistemi sanitari di far fronte a questa nuova epidemia.

Autrice: Marina Vanzetta / Fonte: galileonet.it

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