Una civiltà sotto ghiaccio

Nei primi anni ’70 in Italia uscì un libro intitolato “Una civiltà sotto ghiaccio”, scritto da Flavio Barbiero, un ingegnere laureato a Pisa. Era la prima volta che il nome di Atlantide veniva associato a quello dell’Antartide in una teoria del tutto nuova e che oggi riscuote grande successo sull’onda del best seller “When the sky fell”  (“La fine di Atlantide” nella traduzione italiana) di Rand e Rose Flem Ath.
Iniziamo con il lavoro compiuto da Barbiero, in quanto padre della teoria ed esponente di una buona dose di serietà. Egli era a conoscenza delle scoperte e teorie del geologo Charles Hapgood, che nelle sue ricerche aveva riunito una serie di carte nautiche antiche che rappresentavano parti del globo terrestre non ancora ufficialmente scoperte quando esse furono tracciate.
Nel suo libro “Maps of the ancient sea kings”  passa in analisi le carte più interessanti mostrando i profili delle terre emerse in esse mostrate. La più famosa di tutte è quella appartenuta all’ammiraglio turco Piri R’eis, risalente al 1513 e scoperta a Istanbul nel 1929.
Mostra in maniera molto precisa la costa sudamericana affacciata all’Atlantico e così i suoi fiumi e le isolette che stanno innanzi. Più sotto, secondo alcuni, il suo profilo si allungherebbe sino a raggiungere quello dell’Antartide, tracciato così come sarebbe se non fosse coperto da ghiacci. La mappa era una copia parziale (secondo una nota dell’ammiraglio lasciata nella stessa carta) di una delle tante che Colombo aveva portato con sé durante i suoi viaggi oltreoceano.
Che effettivamente la parte inferiore della carta dimostri il profilo sgombro dai ghiacci dell’Antartide sembrerebbe accertato. Da qui parte l’ipotesi che una civiltà capace di solcare gli oceani esistette in tempi remotissimi. Tanto più che esistono i mappamondi di Mercatore, Fineo (XVI secolo) e Bauche (1737) che mostrano l’intero continente antartico prima che fosse scoperto nel 1859. Bauche lo rappresenta come formato da due isole.
I loro profili non corrispondono esattamente a quelli dell’Antartide (con o senza ghiaccio) e secondo alcuni, sono là a rappresentare un’ignota “terra inferiore” di cui si immaginava l’esistenza e quindi poste nel mappamondo per definizione. Per altri sono invece la prova più genuina che qualcuno deve aver circumnavigato in lungo e largo il globo prima dell’era moderna.

Qualsiasi cosa si voglia credere Hapgood, da geologo, attribuiva la catastrofe dello scioglimento dei ghiacci avvenuta circa 12000 anni fa ad un repentino spostamento dei poli e ipotizzò che la crosta stessa potesse slittare sul mantello (più precisamente in uno strato intermedio semiviscoso chiamato astenosfera) causando la migrazione dei poli.
Questa spiegazioni oggi è del tutto confutata dall’esistenza delle zolle terrestri (galleggiano lentamente sul mantello ma non slittano, tanto più repentinamente, e soprattutto non si muovono tutte allo stesso modo impedendo alla crosta di spostarsi uniformemente); tuttavia permane la possibilità, secondo molti geologi, che i poli fossero veramente in posizioni diverse  nell’ultima era glaciale, e che anche l’asse terrestre avesse un’inclinazione rispetto all’eclittica diversa da quella odierna (di circa 23 gradi).
A questo ci si arriva studiando la distribuzione dei ghiacci e delle specie animali in epoca glaciali. In America i ghiacci arrivavano a coprire gran parte degli odierni USA e in Europa arrivavano fino alle Alpi.
In Siberia vivevano i Mammuth, i cui corpi sono stati trovati congelati ancora là, sotto la neve e col cibo non digerito ancora nello stomaco. I Mammuth siberiani, 12000 anni fa, morirono improvvisamente e rimasero ibernati per migliaia di anni.
In America furono sterminati insieme a molte altre specie animali da un immane catastrofe geologica che portò ad un nuovo assetto climatico. Proprio prima di tale sconvolgimento una fascia dell’Antartide (quella che dà sull’Atlantico) era libera dai ghiacci grazie a una latitudine più favorevole. Poteva dunque essere abitata e in qualche modo civilizzata. Non solo.
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Per Barbiero era anche il punto più ovvio da cui la civiltà potesse spargersi in tutti gli altri continenti dando vita alle affinità che oggi troviamo fra Vecchio e Nuovo Mondo. L’epoca della catastrofe che pose fine al Pleistocene corrisponde esattamente a quella data da Platone per la fine di Atlantide. E fu una catastrofe che colpì il globo intero, così come Platone racconta che colpì anche Atene e quindi tutti i paesi del Mediterraneo.
Barbiero spiega in maniera interessante il motivo per cui si tramandò la leggenda di un isola scomparsa. Coloro che probabilmente cercarono di evacuare Atlantide lasciando le coste videro che queste venivano inghiottite dal progressivo aumentare del livello del mare e, se è vero che l’asse terrestre cambiò inclinazione, magari rintracciarla poi facendo riferimento alla volta celeste (in cui la posizione delle costellazioni era ormai traslata) per la navigazione diventava fuorviante e li portava in altri luoghi.
L’Antartide è un’isola continentale oltre Gibilterra (come disse Platone) ed è inoltre ricca di risorse minerarie. Se dovessimo guardare il mondo ponendoci al centro l’Antartide  il vero oceano di cui parlava Platone diverrebbe l’oceano mondiale che circonda tutti gli attuali continenti e il “continente opposto” sarebbe il resto del mondo. Però è pur vero che non è di fronte alla Spagna (come dice Platone spesso).
Le carte geografiche erano dunque opera degli Atlantidei residenti in Antartide? Per Barbiero, se veramente Atlantide era la prima civiltà e, durante la sua fine, lasciò sfuggire supersiti qua e là nei continenti, allora deve esistere una qualche rappresentazione di essa, l’isola madre della civiltà.
Ed ecco che nel suo libro sfodera una serie di planisferi rappresentanti l’Europa e il mondo conosciuto in epoche medievali e li assimila al profilo dell’Antartide. I risultati però non sono convincenti. La forzatura è evidente. I planisferi antichi erano basati tutti sulle stesse convenzioni: “la terra è piatta e circondata da un oceano rappresentato come un fiume che la richiudeva in circolo”. La forma dell’Antartide è grosso modo circolare e perciò una prima somiglianza viene da questo fatto.
 
Barbiero aggiunge che in questi planisferi sono evidenti i canali rettangolari della piana di Atlantide. In realtà rappresentano le isole del Mediterraneo. Inoltre sarebbero una rappresentazione troppo grossolana della fitta e ordinata rete di canali descritta da Platone. Inoltre chi disegnava quei planisferi sapeva benissimo cosa andava a rappresentare e l’Antartide veramente non c’incastrava lontanamente.
Per Barbiero i planisferi erano fatti partendo dalla base di alcune mappe antiche dell’Antartide. Per dire la verità alcuni sembrano rappresentare molto fedelmente l’Europa, altri sembrano solo rappresentazioni grossolane di qualsiasi cosa ma nessuna sembra approssimare nel dettaglio l’Antartide. Anche la descrizione biblica del tempio di Ezechiele non c’incastra nulla con il palazzo di Poseidone in Atlantide, tanto più che dalla Bibbia risulta chiaro che quel palazzo si trova nelle terre mediorientali. Tante sono comunque le persone che cercano di identificarli ad ogni costo.

Comunque sia l’Antartide ha un serissimo motivo per cui non può candidarsi ad essere Atlantide.
Infatti se è vero che una parte poteva essere fuori dai ghiacci il resto (oltre il 70%) era coperto da tantissimo tempo dai ghiacci perenni. Questo vuol dire che il clima, globalmente, non poteva essere favorevole e con inverni miti come quello descritto da Platone.
I venti provenienti dalla zona ghiacciata avrebbero reso molto rigide anche le temperature della zona libera. Non solo. Platone dice apertamente che tutta l’isola era baciata da un clima favoloso e abbondante di ogni tipo di albero e frutto. Ed allo stesso modo l’isola  intera era divisa in dieci regni in cui ciascun re esercitava il proprio dominio. Difficile pensare a qualcuno che si diverta a regnare su una distesa di ghiaccio. Il dialogo di Platone è chiarissimo su questi punti che mai potrebbero trovare conferme nell’Antartide.

Barbiero è arrivato poi a identificare la piana rettangolare nelle banchise di Filchter e Lassiter (3), all’estremo nord dell’isola e non certamente al centro come dice Platone. La città sarebbe sorta nell’odierna isola di Burkner, che in epoca remota era un monte di almeno 700 metri sopra la piana ora coperta dalle banchise. Un monte un po’ troppo alto per costruirci una città intorno. Platone infatti dice che era stata costruita intorno a uno scarso rilievo, quindi a un piccolo colle. 700 metri sono troppi, e classificherebbero il rilievo come una vera e propria montagna.
 Tutti i restanti discorsi dell’ing. Barbiero sono talvolta brillanti e verosimili. Rimane però che la geografia dell’Antartide mal si presta a quella dell’Atlantide. Ricordiamo che secondo Platone Atlantide (insieme ad altre isole minori poste davanti e dietro essa) faceva da ponte (quasi in linea retta) tra l’Europa e un continente opposto. Per l’Antartide questa configurazione diventa poco evidente in quanto andando verso Gibilterra si incontra esclusivamente mare aperto.

Flavio Barbiero è stato protagonista anche di due spedizioni in Antartide, anche se poco fortunate per questioni contingenti. In una di esse ha ritrovato il tronco di un albero sotto i ghiacci su cui però non è mai stata effettuata alcuna misura al C14.
Rand e Rose Flem Ath, due coniugi canadesi, con il loro libro best seller nel 1995 hanno ripercorso tutte le tappe di Hapgood ed hanno posto sul banco delle prove un falso incredibile.

Secondo loro la mappa di Atlantide rappresentata dal padre gesuita Kircher nel XVII secolo nella sua opera “Mundus subterraneus”  sarebbe un autentica copia di una Egizia. Mai nessuno, nemmeno gli atlantologi più sfegatati hanno avuto il coraggio di dire una cosa simile. L’autore del libro mai ha detto una cosa del genere e nella rappresentazione stessa c’è scritto che essa è disegnata così come gli egizi l’avevano descritta (poiché Platone disse che la fonte del racconto di Atlantide proveniva proprio dall’Egitto). Di conseguenza egli rappresentò una grossa isola fra l’Africa e L’America, così come era ovvio dalla descrizione dei dialoghi platonici.

Per i Flem Ath la grande isola non sarebbe altro che l’Antartide, l’Africa e la Spagna sarebbero il Sud Africa e l’America la Terra di Fuoco cilena. Certamente ci troviamo di fronte a qualcosa di sconvolgente: la spudoratezza di scrivere e divulgare simili informazioni.

Il resto del loro lavoro, molto superficiale rispetto a quello di Barbiero, non aggiunge nulla di nuovo: solo mille congetture più o meno verosimili ma che non posizionano necessariamente Atlantide in Antartide.

Mondo Tempo Reale

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