Cercando l'oro con la mappa dei faraoni


Ricomposta a partire da una serie di frammenti, la mappa mostra 15 chilometri di Uadi Hammamat, la valle che ospitava una cava di pietra e una miniera d'oro. Fotografia per gentile concessione di James Harrell, University of Toledo

Il papiro delle miniere d'oro, conservato a Torino e considerato la mappa geologica più antica del mondo, ha innescato la moderna corsa all'oro in Egitto

Se andate in cerca d'oro nel Deserto Orientale egiziano dovete portare con voi acqua, una gomma di ricambio, un geologo e una buona mappa. Entro le 10:30 del mattino ci erano già state servite tutte e quattro le cose. La gomma posteriore sinistra del SUV era esplosa su una strada accidentata nel deserto, ma quella di riserva ha resistito. Il nostro piccolo convoglio è riuscito a portare il geologo e la mappa in cima a quel terreno roccioso e sabbioso noto come Abu Zawal.

Il geologo si chiama Leonard Karr e la mappa arriva da Google Earth. È coperta dalle annotazioni di Karr, che per un profano sono misteriose quanto dei geroglifici: "fossati felsici piani", "morto da poco", "roccia nera foliata". Karr lavora per la Aton Resources Inc., una compagnia canadese che un tempo si chiamava Alexander Nubia e che spera di fare fortuna nel Deserto Orientale egiziano, quegli altipiani desolati che separano la Valle del Nilo dal Mar Rosso. Nello scenario attuale la Aton Resources è un'azienda pioniera, una delle poche compagnie minerarie attive in Egitto. Una sola sta scavando davvero, ma tutte ripercorrono le tracce dei minatori faraonici, ispirate da uno dei documenti più straordinari che gli antichi egizi hanno lasciato ai posteri.

Più di 3.000 anni fa, un ufficiale governativo ha preso un rotolo di papiro e abbozzato tutte le caratteristiche di una valle del Deserto Orientale, con dettagli e accuratezza tali che il documento è considerato la prima mappa geologica della storia. Se non fosse per questa mappa, probabilmente Karr e il resto del gruppo non sarebbero mai finiti ad Abu Zawal.

L'estrazione dell'oro ha una lunga storia in Egitto, come attestano antichi manufatti come questo bracialetto in oro e lapislazzuli indossato da Ramses o da una delle sue favorite. Fotografia di O. Luis Mazzatenta, Alamy

La regione è desolata - si trova a oltre un'ora d'auto dall'insediamento più vicino - ma nel corso degli anni ha attirato parecchi visitatori. In meno di tre chilometri quadrati ci sono rovine che coprono 30 secoli: un mulino britannico abbandonato del 1930, un forte in pietra di epoca romana, i resti di un insediamento minerario tolemaico e utensili egizi in pietra che risalgono almeno all'XI secolo a.C., quando in Egitto era in corso il Nuovo Regno. "Gli antichi erano piuttosto astuti", commenta Karr, chinandosi per raccogliere un sasso. "Questa traccia di ferro li avrà attirati subito. Si tratta di ossidi di ferro. Quando vedi il giallo, sai che hai di fronte del solfuro ferroso. Ed è un ottimo indicatore del fatto che potresti trovare l'oro".

Un incontro casuale e una rivelazione

Nonostante l'Egitto abbia alle spalle millenni di attività minerarie, a dare il via all'industria moderna è stato il caso. Correvano gli anni Sessanta del secolo scorsa quando Sami El-Raghy, un egiziano, concluse i stuoi studi da geologo. Le politiche economiche socialiste del tempo non prevedevano alcun investimento nelle attività di estrazione, così El-Raghy partì per l'Australia dove intraprese una carriera di successo, riuscendo poi a finanziare una compagnia che estraeva oro e altre risorse in tutto il mondo.

Nel 1993, mentre si trovava in Egitto in visita alla sua famiglia, El-Raghy fece una tappa all'Autorità Geologica e Mineraria de Il Cairo. Era nell'ufficio del presidente quando una decorazione sulla parete attirò la sua attenzione: una replica del Papiro delle miniere d'oro. Il documento originale risale circa al 1150 a.C. ed era stato preparato per una spedizione di scavo inviata da Ramses IV. Custodito al Museo Egizio di Torino, è stato rinvenuto in una tomba nella Riva Ovest di Luxor e ritrae la Uadi Hammamat, una valle non lontana da Abu Zawal.

Per El-Raghy, la mappa è stata una rivelazione. "Avevo studiato geologia proprio all'Università di Alessandria ma non avevano mai menzionato quella mappa", ricorda. "Ho pensato: 'Andiamo in cerca di minerali e oro fino al cuore dell'Africa, ci spingiamo nella giungla sudamericana e nelle aree più inospitali del Canada settentrionale, mentre l'Egitto custodisce tutto questo!'. E nessuno ci stava lavorando".

L'unico sopravvissuto

Secondo James Harrell, geoarcheologo della University of Toledo oggi in pensione, per quanto ne sappiamo non esistono altri papiri equivalenti a quello di Torino che risalgano allo stesso periodo. È probabile che nell'epoca dei faraoni siano state compilate altre mappe, ma questo tipo di documenti non veniva conservato nelle tombe e di rado i papiri sopravvivono per millenni. Sembra che le altre culture antiche non siano state in grado di produrre mappe con questo livello di dettagli. Non a caso la prima mappa geologica di cui siamo a conoscenza, dopo il Papiro delle miniere d'oro, risale a circa 29 secoli più tardi.

"Fino alla metà del 1700 la geologia non aveva raggiunto un livello tale da portare le persone a compilare rappresentazioni spaziali del mondo geologico", dice Harrell, che nel 1989 ha potuto studiare la mappa da vicino ed è stato il primo a confermare che rappresenta Uadi Hammamat. Ne ha portata una copia in Egitto, ha guidato fino allo uadi e ha camminato per 16 chilometri sotto il sole cocente. Lungo la strada si è reso conto che i colori delle rocce del luogo, quel tipo di dettaglio che un geologo nota subito, erano ancora riconoscibili sul papiro.

"[La mappa] ha una notevole precisione geologica nella scelta dei colori per le rocce, ma anche nei piccoli punti colorati che rappresentano la ghiaia sul letto dello uadi", dice Harrell. "Sono marroni, bianchi e verdi, più o meno gli stessi colori che ha la ghiaia nella realtà".

Il papiro è stato disegnato da uno scriba e ufficiale governativo egiziano di nome Amennakhte, che l'ha annotato nello stesso modo in cui un moderno geologo prenderebbe appunti su una mappa di Google Earth. "Ci sono note per 'colline dove si trova l'oro' o 'colline d'oro e d'argento'", racconta Harrell. Il museo di Torino ha in mostra anche un altro papiro sul quale Ammennakhte, con lo stesso occhio acuto dimostrato per i dettagli geologici, ha abbozzato una mappa della tomba sotterranea di Ramses IV, nella Valle dei Re.

"Ci sono linee diagonali che attraversano la montagna, con punti che le costeggiano per intero", spiega Harrell. "Se guardi la tomba vera e propria ti accorgi che ci sono vari strati di calcare con noduli scuri di chert. Proprio come indicato nel documento".

Gli antichi hanno solo scalfito la superficie

Amennakhte merita un riconoscimento anche per i quasi cinque quintali di oro che la compagnia di El-Raghy, Centamin, ha già trovato in Egitto. Nel 1993, dopo essersi imbattuto nella replica del papiro, El-Raghy ha iniziato a esplorare le risorse del Deserto Orientale. Così si è reso conto che i Britannici e gli altri minatori del XX secolo avevano mappato ed esplorato molti degli antichi siti di scavo. Così ha iniziato a visitarli e studiarli. In questo modo è riuscito ad aprire una miniera di successo in un luogo chiamato Sukari e Centamin ha raggiunto un valore di mercato di quasi due miliardi di dollari. Alcuni degli ex dipendenti di El-Raghy oggi lavorano per Aton Resources, che sta esplorando e testando altri siti antichi nel Deserto Orientale.

Nessuno sa quanto oro sia stato estratto all'epoca dei faraoni, ma secondo Harrell qualsiasi stima sarebbe solo una "speculazione inattendibile", perché nella maggior parte dei siti faraonici non sono mai stati condotti studi archeologici veri e propri. Eppure basta una singola occhiata ai tesori della tomba di Tutankhamon per capire che gli antichi hanno fatto molta strada nell'attività di estrazione anche con la loro tecnologia. Ad Abu Zawal ho visto delle rocce curve, lavorate per adattarsi a una mano, che venivano utilizzate per frantumare i minerali durante il Nuovo Regno, il periodo di Tutankhamon. Ma le miniere erano piccole, prive di sostegni, e non si spingevano nelle profondità della Terra.


La tomba di Tutankhamon era colma di oggetti preziosi in oro, come questa celebre maschera funeraria e un sarcofago d'oro massiccio del peso di 113 chilogrammi. Fotografia di Shadi Bushra, Reuters

"Si sono limitati a scalfire la superficie", mi ha spiegato Leonard Karr. Marc Campbell, CEO di Aton Resources, sostiene che l'antica combinazione creata da esplorazioni vivaci e tecnologie primitive si adatti perfettamente alle possibilità moderne. "Anche se abbiamo di fronte 3.000 anni di scavi, sostanzialmente è un territorio vergine. Ma con un piano d'azione già pronto".

Questi siti antichi oggi sono a rischio

Uno dei problemi, in realtà, è che il Deserto Orientale è un territorio vergine anche per gli archeologi. In Egitto il grosso del lavoro si è concentrato sulla Valle del Nilo, mentre i siti del Deserto Orientale hanno ricevuto poca attenzione. Proteggerli dipende, in poche parole, dall'interesse e dal senso di responsabilità delle varie parti commerciali in gioco. Come spiega Campbell, le autorità minerarie non hanno chiesto alcuna approvazione archeologica ad Aton Resources per la fase esplorativa. Se la sua compagnia deciderà di costruire una miniera vera e propria, tuttavia, assumerà degli archeologi per contribuire allo studio di impatto ambientale. "Non abbiamo problemi al riguardo", spiega. "Capire perché queste persone si trovavano qui, cosa facevano e cosa hanno lasciato dietro di sé è utile anche per noi".

di Peter Hessler http://www.nationalgeographic.it/mondo-antico/2016/07/28/news/cercando_l_oro_con_la_mappa_dei_faraoni-3174667/

Mondo Tempo Reale

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