Enedina Giordano Sanna



Questo sontuoso monumento fu realizzato, in marmo, dal valente scultore polacco Vittorio Brodzki per commissione del barone Giuseppe Giordano. Rappresenta Enedina Sanna distesa nel suo letto di morte, con le braccia conserte al seno, e con una croce fra le mani. Vicino a lei è sua figlia, una bambina di cinque anni, che solleva un lembo del funebre lenzuolo per sorridere alla giovane madre che lei crede addormentata.
Enedina Sanna moriva a Roma, in giovanissima età, il 15 marzo 1873, pochi giorni dopo aver dato alla luce Marietta, primo frutto della sua unione col Giordano. L'affettuoso consorte ha fatto eseguire questo monumento dal Brodzki per ornare la tomba della sua giovane sposa a San Lorenzo nel Campo Varano.
La figura del Barone Giordano-Apostoli viene generalmente idealizzata come quella del nobile colto e benefattore. In realtà la sua personalità era controversa e, se da una parte viene appunto reso come una figura positiva, dall'altra la sua immagine viene notevolmente incrinata dalle testimonianze e dalle accuse che la famiglia della moglie, Enedina, figlia di Giovanni Antonio Sanna, le ha riservato senza pietà, soprattutto da parte della cognata Ignazia, che agli inizi del 1900 mise nero su bianco tutta la vicenda familiare e che accusava apertamente Giordano Apostoli, suo cugino Solinas Apostoli (marito della stessa Ignazia) e il marito della terza sorella, Zelì, di essersi appropriati con l'inganno dei beni di famiglia, ad iniziare dalle miniere di Montevecchio. Tra l'altro, il terreno dove sorge Palazzo Giordano era di proprietà proprio di Ignazia Sanna che lo aveva avuto in eredità alla morte del padre. Così come, per quota ereditaria da parte della ormai defunta moglie Enedina, arrivò a Giordano la proprietà del parco di Monserrato. La morte di Enedina è sempre rimasta un mistero e fu uno dei maggiori motivi di attrito fra Ignazia e Giordano.
La morte di Enedina è citata ovunque come misteriosa e avvenuta pochi giorni dopo la nascita della figlia Marietta. Non è ben chiaro se fosse la sua seconda figlia o se c'è un errore, visto che nei testi si parla di "figlia di 5 anni che le scopre il lenzuolo di morte".
Il significato del suo nome è "la taciturna".
Il padre era proprietario di miniere in Sardegna.
La sorella Zelì accusò a chiare lettere il marito di Enedina di averla uccisa per impossessarsi della sua parte di eredità (un parco) lasciatole dal padre. Il parco è a sassari .

Di séguito riporto una poesia di Enrico Costa dedicata al monumento sepolcrale di Enedina:

Per il Mausoleo di Enedina Giordano
Enrico Costa

ALL'AMICO GIUSEPPE GIORDANO
SCULTURA
DI
VITTORIO BRODZKI

I

Spunta l'alba - le stelle, ad una ad una,
Fuggon dal cielo, tremule.
Dorme il signor su le morbide piume,
E veglia al fioco lume
Di povera lucerna
L'artier nell'officina...
La brezza mattutina
Reca sull'ali il garrulo lamento
Del Tebro che sospira
Nel suo letto profondo...
Diafana, luminosa,
Una tinta di rosa
Irradia e campi e ville, e annunzia al mondo
Il ritorno del dì... Già sorge il sole:
Le nebbia si dileguano,
S'apron le prime viole;
Di ramo in ramo, garruli,
Gli augelletti fan festa:
Ride la terra e il ciel - Roma si desta.

***

Sfugge un raggio di sol da l'orïente;
E, per i vani de le sceme imposte,
Rischiara fiocamente
Una patrizia stanza, alle cui porte
Sogghignò la sventura.
Giù, nella via, lo strepito
E il moto della folla - in quelle mura
Il silenzio e l'inerzia de la morte.
Di vita sol non v'ha che la fiammella
D'una lampa votiva
Ch'arde in un canto e crepita
A' piedi d'una morta,
E gli atomi smaglianti
Che un tenue spiro, in turbine, conduce
A danzar tremolanti
In un filo di luce...

Un letto... ed un lenzuol. Strano quel letto!
Strano quel drappo candido
Che apparir lascia, in lugubri
Contorni indefiniti,
Una testa e due piedi irrigiditi!
Più strano ancor quel sole
Che inneggiando alla vita ed al lavoro
Versar sui morti vuole
La sua polvere d'oro!

***

Che tenti, o sol? - vuoi ridonar la vita
A quelle forme angeliche?
Destar tu vuoi da la serena pace
Quella madre che giace
Come in sogno assopita?
O ad insultar ne vieni, in queste mura,
Col tepor del tuo raggio
Il gelo de la tomba? - In questo loco,
Coi beffardi conforti,
Tu insulti la sventura.
Virtù non ha il tuo foco
Di ridestare i morti!
Fuggi, o pallido sol, fuggi! - quì duopo
Non v'ha di te. Tu ridonar non puoi
Il profumo e il vigore
A la rosa appassita,
A cui donasti un giorno,
E togli oggi la vita.
Pietà qui non t'adduce:
Sol dell'orror si piace
La tua funesta luce!
Deh, fuggi! - e splendi col raggio mendace
Sui templi, e gli archi, e le colonne infrante
Della superba Roma,
Che, sepolta fra i ruderi,
Oggi eterna si noma!
Splendi pur sulle membra mutilate
Del caduto Gigante
Che giace nella polvere
Di ventiquattro secoli!
Splendi sovr'esso; e col tuo raggio ardente
Sulla sua fronte scrivi,
Ch'anco morto è potente
E fa tremar colla memoria i vivi!

II

Il lieve stropiccìo di due piedini
Rompe l'alto silenzio
Di quella stanza. - Cigola
Sui cardini la porta, e in sulla soglia
Una bambina appar. - Trepida, ansante,
Tende l'orecchio e guata:
Guata intorno... e sorride,
Poi che breve distanza
Da un letto la divide.
Torna il vermiglio alle pallide gote,
E torna al cor la calma.
Di che temer mai puote
Or che la madre è là? - Con piè leggero,
Piena il cor di contento,
Cautamente s'avanza.
Già già tocca la sponda - già protende
Le braccia... e afferra a stento
Un lembo del lenzuol. - Cede alla dolce
Forza quel drappo - e all'avida
Pupilla innamorata
S'offre la cara immagine
De la giovine madre addormentata.

***

Siccome in dolce visïone assorta,
Purificata dal novello affetto
Santissimo di madre,
Là, sul funereo letto,
Posa la bella morta.
Sul manco lato, in un dolce abbandono,
Chino ha il capo, qual fior di primavera
Che cede alla bufera;
Sparse al guancial le chiome, al sen conserte
Le braccia, e stretta al petto
Una piccola croce,
Simbolo de la fede e del perdono.
Un penoso pensiero, e una gradita
Quïete - un mesto riso,
E una lieta speranza -
Un desìo della terra, e un'infinita
Ansia del paradiso,
Traspar da quell'angelica sembianza...
Sonno di morte, eterno sonno è quello
Che là dorme Enedina! - eppur diresti
Che, trepidante, l'anima
Abbandonar non voglia
Ancor la bella spoglia
Fatta inerte dal gelo.
Un affetto novello
Parla al cor d'Enedina:
Pria di tornare al Cielo
Ella vuol riveder la sua bambina...
Sonno di morte? - eppur, quand'io la miro,
Parmi veder sul seno
I bianchi lini ed una nera ciocca
Mossi dal suo respiro!
Sonno di morte? - eppur la sua figliòla
Aspetta sempre da la cara bocca
Un bacio e una parola!

III

« - Svegliati, mamma! - il bacio del mattino
Oggi non ebbi ancor sul labbro mio!
Lieta, come solevi, al mio lettino
Tu non venisti: ed io
A te ne vengo mesta! - »

Enedina sorride... e non si desta.

« - Alto, molto alto è il sol sull'orizzonte,
Ed io non ebbi ancora
Il bacio del mattin su la mia fronte!
Mamma, mamma, ho paura
Del silenzio che regna in queste mura!
Perchè, come solevi,
Tu non carezzi le mie ciocche bionde? - »

Enedina la guarda... e non risponde.

« - È giorno, mamma, ed io ti sto da canto
Perché il tuo bacio aspetto.
Oggi presso al mio letto
Non sei venuta... e ho pianto!
O madre, madre mia,
Sei dunque molto stanca
Ché il sonno non hai lieve?
Ahimè, non so che sia,
Ma la tua faccia è bianca
E la tua mano è fredda come neve! - »

Corre l'anima al labbro d'Enedina;
Ma quel labbro di gelo
Ha un eterno sorriso, e non ha voce!
Piange allor la bambina;
E quella madre pia, scordando il Cielo,
Più non guarda la croce!

IV

Deh, vieni a me. - Col funebre
Drappo ricopri quelle care forme.
Vedi? la mamma dorme:
Opra vana sarìa
Il volerla destar. - Se alla tua voce,
Al tuo grido, al tuo pianto
La mamma non s'è scossa,
Credilo pur, mia piccola Maria,
Nessuno in terra di svegliarla ha possa!
Tu non m'intendi, il so - non sai per anco
Che voglia dir, fra gli uomini,
Più non aver al fianco
La consigliera vigile
Dei cari giorni che non hanno sera!
Sempre tra i fior, tra i ninnoli,
Per te sorride eterna primavera;
Sempre in continua festa,
Ogni stagione a te torna gradita,
E non ti cruccia questa
Lunga battaglia che si noma vita.
Tu non sai che sia pianto:
Per te il mondo è un giardino
Tutto luce, armonia, profumi e incanto...
Poi che vuole il destino,
Ridi e folleggia, o fanciulletta mia,
Nelle splendide aiuole profumate;
E prega il Ciel che sia
Ben lento il volo de le tue giornate!

***

Vieni, o bambina, a me. - Vedi quel marmo?
In un gentil pensiero,
Attinto al bello e al vero,
Il genio umano da quel marmo trasse
Le tue forme leggiadre
E quelle di tua madre;
E un dì benedirai
L'artefice gentil che le scolpiva,
Rinnovando in te viva
Una santa memoria...
Pur, quell'opra sì bella,
Che al core ed alla mente
Oggi con pio linguaggio a te favella,
È menzogna innocente
D'artista e di poeta.
Tu non fosti felice
Siccome a te lo dice
Il pensier che dà vita a quella creta!
L'invida parca nell'april recise
Lo stame di quel fior. - Tu non vedesti
Le sembianze materne! - a te la madre
Né pur morta sorrise!

Carca il grembo di te, serena e lieta,
Enedina sentìa dentro del core
Una voce segreta
Che madre la dicea. - Già già sognava
Stringerti al sen, baciarti,
Carezzar le tue chiome,
E dal tuo labbro ingenuo
Le prime note udir d'un caro nome...

Sentìa già il marzo la virtù gentile
Del favonio d'aprile.
Miti eran l'aure - al sole
Il calice schiudean le prime viole,
E su, per la collina,
Il mandorlo e le acacie avean fiorito...
Fu allor che udì Enedina
Il primo tuo vagìto,
E in un segreto palpito
Due palpiti confuse:
L'amor di madre e quello di consorte...
Ma fu avversa la sorte!
Gli occhi tu apristi al sole - e al sol li chiuse
Enedina quel dì! - Le sue speranze
Caddero ad una ad una;
E la sognata cuna
Per nove lune ambita
Schiuse la tomba a chi ti diè la vita!

***

Tu mi guardi, o Maria... ma non m'intendi:
Ed è Dio che lo vuole!
Nel puro cielo de' tuoi quattro aprili
Non teme nubi il sole.
Godi! godine pur! - vivi di baci
Nell'alterna carezza
De' tuoi giorni infantili,
E prega Dio che scorran lente l'ore
De la tua fanciullezza!
Godine pur - scherza e sorridi. Un giorno,
Allor che i quindici anni
Ti danzeranno intorno,
Una forza soave, arcanamente
Ti scenderà nel core
A destarvi l'amore.
Più bello il ciel - più splendide le notti
Agli occhi tuoi parranno:
Gli astri ti parleranno
Un arcano linguaggio;
Per te, bella innocente,
Ogni stella avrà un raggio,
Ogni fiore un profumo, ed ogni suono
Una nova parola...
D'amor, quel dì, tu apprenderai il mistero!...
Sdegnosa d'ogni festa,
Tu invocherai le veglie del pensiero;
E un desìo di silenzio, un insistente
Bisogno di star sola,
Ti faran lieta l'anima
Melanconicamente...
Quel dì nel cor tu sentirai una voce
Che ti dirà: « - fanciulla,
Ama! - rispondi al palpito
Che move l'Universo;
Ama! - ti vuole Iddio presso una culla! - »

E vedrai un tempio e un'ara - e ad un leggiadro
Garzon sorriderai;
E, di gioia inebriata,
All'altar moverai
Di bianchi gelsomini incoronata!...
Ma non verrà tua madre
Per adornar la tua gentil persona;
A depor sulla fronte
Insieme al primo bacio
Il fior più bello de la tua corona!
Ma dalla madre non avrai, Maria,
Quel dì, di nozze il velo.
Guida amorosa e pia
A te verrà invisibile
Per confortarti ognor de' suoi consigli;
Perché una madre non ritorna al Cielo
Se lascia in terra gli adorati figli!...

***

Or vanne, Marïetta - va, e consola
L'afflitto genitore.
Come soave balsamo
Gli scenderà nell'anima
Il dolce suono de la tua parola...
Tergi tu quelle stille
Che vedrai tremolar sugli occhi suoi,
E ardenti baci scocca
Su quella fronte pallida
Solcata dal dolore...
Tu sola in terra consolar lo puoi,
Innocente bambina;
Perché sulla tua bocca
E nelle tue pupille,
Quando nascesti, un angelo
Pose il riso e lo sguardo d'Enedina!

***

V

Ed or, qual degno vanto,
Qual lode a te, Vittorio?
Un carme offrir non posso
Al genio tuo! - sublime
È l'opra tua - povere son mie rime
Perch'io le invochi a tanto!
Riverente, commosso,
A te m'inchino, Artefice poeta!
Per la virtù di quel gentil pensiero
Che fortemente intese
L'arte e sua nobil meta,
Tu spirasti all'argilla
La divina scintilla
Che Dio nel cor t'accese.
Per te rivive nella fredda creta
L'anima d'Enedina,
Poi che la vita cui natura ria
Tolse a una madre pia
Tu ad un marmo donasti. - Esulta, esulta!
Su quella pietra è sculta
La tua gloria maggiore.
Vanne altero, Vittorio, e in tant'onore
Un sol vanto ti basti:
La natura distrusse - e tu creasti!

Sassari, aprile 1878.

Enrico Costa.

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