Corazze e nudità

Excalibur (1981) di John Boorman


Tutti, credo, ricordiamo in modo vivido qual è stata la prima scena di sesso vista in un film che ha colpito la nostra immaginazione. Nel mio caso la pellicola incriminata fu Excalibur (1981) di John Boorman, e più precisamente il congresso carnale che si trova a circa un quarto d’ora dall’inizio. Una sequenza che mi turbò profondamente, lasciandomi in un misto di attrazione e repulsione, senza che io fossi in grado di comprenderne il motivo.

Qui Uther Pendragon, che grazie a un incantesimo di Merlino ha assunto le sembianze del duca Gorlois, possiede violentemente la moglie di quest’ultimo, Igraine (da questo fugace rapporto estorto con l’inganno nascerà Re Artù). La sequenza mostra in montaggio alternato l’amplesso ottenuto con l’inganno e la contemporanea morte del vero duca sul campo di battaglia: eros e thanatos.

L’elemento che mi colpì maggiormente fu un dettaglio dall’impatto visivo potentissimo: nella scena Uther, in preda alla furia erotica, non si cura di levarsi l’armatura e si avventa sulla donna che, credendolo il marito, si concede al suo impeto. Tralasciando il dubbio realismo della scena (davvero sarebbe possibile fare certe cose con tanto di armatura?), fu il contrasto – il contatto – tra il lucido acciaio e la candida pelle femminile a scolpirsi indelebilmente nella mia fantasia. Dubito sia un caso che, tanti anni dopo, la mia tesi di laurea abbia finito per concentrarsi su Crash di Cronenberg, un altro film in cui carne e metallo si fondono, grazie all’incidente stradale, in una perversa dimensione erotica.

Quando vidi Excalibur per la prima volta non potevo saperlo, ma l’iconografia del cavaliere in armatura e della donna nuda è un tema ricorrente nella storia dell’arte – «troppo frequente, troppo svariato, troppo insistente per esser giudicato casuale», come nota Roger Caillois in Nel cuore del fantastico (1965; Abscondita 2004).

Il motivo si ricollega al più ampio topos della contrapposizione tra figura maschile vestita e figura femminile svestita: su questa nudità unilaterale si basano molti dipinti ottocenteschi, in particolare le rappresentazioni di harem o mercati di schiavi molto alla moda tra i pittori orientalisti, e anche quadri celebri come la Colazione sull’erba di Manet.

Ma, come vedremo, nel caso del cavaliere armato di tutto punto si può individuare un livello di ambiguità molto più interessante.

Ricorda Giuseppe Ferrauto che esiste «tutto un genere di raffigurazioni di belle e nude prigioniere incatenate, destinate ai gusti più o meno scopertamente morbidi di molti signori del passato. […] Ariosto descrisse Angelica incatenata allo scoglio di Ebuda, destinata a essere vittima di un mostro. Di questa scena si impadronirono in molti, da Ingres e Doré, che se ne servì per delle sue illustrazioni per l’Orlando furioso, ad un artista polacco, Chodowiecki, che eseguì anch’egli una serie di incisioni, sempre per l’Orlando furioso, nel 1772, per finire, poi, nel folklore dei fianchi dipinti dei carretti siciliani.» (Arcana, vol. II, Sugar 1969)

Gustave Doré, Ruggero e Angelica, 1879

Daniel Chodowiecki, Ruggero e Angelica, 1772

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ruggero libera Angelica, 1819

I pittori alla ricerca di contesti che si prestassero a questo tipo di rappresentazioni trovarono ovviamente un aneddoto perfetto nell’episodio di Angelica e Ruggero (o nel simile mito classico di Andromeda liberata da Perseo). Uno degli esempi più celebri è il già citato Ruggero libera Angelica di Jean-Auguste-Dominique Ingres (1819), un olio che all’epoca fece scandalo per la rappresentazione della nudità femminile.

Matthias Gerung, L’Allegoria dell’amore (Amor omnia vincit), 1535

Pieter Paul Rubens, Perseo libera Andromeda, 1620

Pieter Paul Rubens, Perseo e Andromeda, 1640

Ma c’erano precedenti illustri e variegati. Nel 1530 Lucas Cranach aveva scelto il giudizio di Paride per mostrare le tre dee nude di fronte al principe troiano, mentre Tintoretto aveva associato il tema alla liberazione di Arsinoe, dove il salvataggio ambientato al Faro di Alessandria diventava lo spunto per mostrare ancora una volta la corazza a contatto con la pelle nuda; da notare inoltre il dettaglio sensuale della catena che, ormai non più stringente, scivola sinuosa sulle parti intime della regina. Come riassume bene Mario Praz, «il contatto delle membra nude con le catene e l’acciaio delle armature sembra fatto apposta per eccitare speciali sensibilità» (Erotismo in arte e letteratura, in I problemi di Ulisse, aprile 1970).

Lucas Cranach il Vecchio, Il giudizio di Paride, ca. 1528

Jacopo Tintoretto, La liberazione di Arsinoe, ca. 1556

Francesco Montelatici detto Cecco Bravo, Ruggero e Angelica, 1660

Michaelis Majeri, Secretioris naturae secretorum scrutinium chymicum, 1687

«Tutto questo – scrive ancora Caillois – dà luogo, non v’è dubbio, a un’emozione in un certo senso naturale, inevitabile, che non deve la sua efficacia all’aneddoto illustrato. André Pieyre de Mandiargues, descrivendo Palazzo Schifanoia, a Ferrara […], riferisce che nel salone del primo piano si svolgevano tornei licenziosi che vedevano appunto scendere in campo fanciulle nude e cavalieri in armi. Se la voce corrisponde al vero, lo strano gioco mi convince soltanto del fatto che la potenza di suggestione di quell’immagine è ancora più grande di quanto immaginassi. Se è invece infondata, il fatto che sia stata ripresa da Mandiargues mi convince quasi altrettanto della segreta e persistente virulenza di quella fantasia.»

William Etty, Britomart Redeems Faire Amoret, ca. 1833


Arthur Hughes, La Belle Dame sans Merci, 1863

Joseph Paul Blanc, La liberazione – Ruggero e Angelica, 1876

Con il passare del tempo il motivo non ebbe nemmeno più gran bisogno di aneddoti storici a cui appoggiarsi. Il Cavaliere errante di Millais non rimanda ad alcun preciso episodio mitologico o letterario – se non, forse, alla ballata La Belle Dame Sans Merci (1819) di John Keats – così come succederà con altre variazioni sul tema ad opera dei Preraffaeliti.

John Everett Millais, The Knight Errant, 1870

Edward Burne-Jones, The Doom Fulfulled, 1885

Charles Napier Kennedy, Perseo e Andromeda, 1890

Arthur Hacker, The Temptation of Sir Percival, ca. 1894

Una delle declinazioni più interessanti è senz’altro quella scelta da Delacroix nel 1852, in cui il cavaliere errante è in realtà una donna: si tratta di Marfisa, ancora una volta un personaggio tratto dall’Ariosto.

Vale la pena riassumere l’antefatto della scena rappresentata nel quadro: la donna-guerriero sul suo destriero sta dando un passaggio al di là del fiume alla strega Gabrina, quando incontrano il cavaliere Pinabello e la sua amante bella ma insolente, che deride la vecchia. Decisa a vendicare l’offesa, Marfisa sconfigge a duello il cavaliere e costringe la donna di Pinabello a spogliarsi delle sue ricche vesti per cederle alla vecchia.

Nel denudare l’amante sfrontata del cavaliere che ha appena vinto, Marfisa sembra parodiare proprio il motivo artistico di cui stiamo parlando. A differenza infatti di tutti i cavalieri corazzati visti finora, che cadono ai piedi della fanciulla in déshabillé, qui l’intrepida guerriera non si fa abbindolare: alla giovane donna (per dipingere la quale, secondo Armando Sodano, Delacroix aveva ritrovato «il lirismo delle odalische della sua giovinezza») Marfisa preferisce la vecchia megera che porta sul suo destriero. Che bella non è di certo, ma intelligente.

Un ironico castigo per la vanità femminile che arriva proprio da una femmina in armatura, un cortocircuito che trovo divertente leggere in senso “metanarrativo”: se sei una donna che non sa andare oltre le apparenze, sembra ammonire Marfisa, allora ti meriti di restare nuda, come succede a tutte le altre donzelle in questo tipo di quadri!

Eugène Delacroix, Marfisa, 1852

Per concludere, torniamo a Excalibur. Negli anni mi sono ritrovato a chiedermi spesso cosa avesse di speciale quella scena, per essersi incisa così prepotentemente nella mia fantasia.

La passione di Uther è crudele, impellente, violenta. Racchiude tutta la tracotanza della ben nota mascolinità incentrata sul possesso: una visione fatta di furia, di diritti arrogati e ottenuti perfino con l’inganno, una visione in cui la donna vagheggiata va presa con la forza. Si potrebbe dire che il personaggio di Uther, se arriva addirittura all’espediente dell’incantesimo pur di soddisfare le sue brame, è “accecato dalla passione”: una locuzione che, assieme al famigerato “raptus”, spesso viene addotta come scusante in stupri e femminicidi. Per questo si tratta di una scena di sesso cupa, disturbante; non a caso viene interpolata da Boorman con le scene del massacro sul campo di battaglia, con le inquadrature della bimba innocente (Morgana) che è testimone del furioso amplesso, mentre la colonna sonora di Trevor Jones, tra archi pulsanti e cori di voci ondivaghe, crea un’atmosfera surreale e mortifera.

Excalibur (1981) di John Boorman

Eppure Igraine non rifugge l’aggressione: forse perché davvero crede che quello sia suo marito — o forse perché vi è un sottile compiacimento nel provocare un furore simile, in qualsiasi amante. Chi dei due è dominante, il cavaliere che aggredisce o la femmina che ha la facoltà di farlo cadere preda della passione?

La scena è dunque sospesa, e il rapporto di potere risulta ambiguo. Questa ambiguità è intrinseca anche del tema artistico di cui abbiamo parlato. Da una parte si esalta il contrasto tra la debolezza e la fragilità muliebri, simboleggiate dalla morbidezza tentatrice delle carni nude, e la mascolinità forte veicolata dal duro aspetto del metallo. Dall’altra, però, quella stessa armatura che dovrebbe essere simbolo di possenza e virilità pare quasi un guscio che rinchiude e costringe ogni impulso.

John William Waterhouse, La Belle Dame sans Merci, 1893

John William Waterhouse, Lamia and the Soldier, ca. 1905

Una simile rappresentazione pone inevitabilmente delle domande: il “machismo” del cavaliere viene amplificato da questo incontro con la bella in costume evitico, oppure ne esce al contrario sbeffeggiato? Vittorioso in innumerevoli battaglie, il guerriero non è forse vinto dall’irresistibile seduzione femminile? La corazza è simbolo di potenza oppure di impotenza (visto che impedisce l’amplesso)? La donna svestita, soffice e inerme, è davvero una preda arrendevole, o è lei che ammalia e conduce il gioco?

Rose O’Neill, La Belle Dame Sans Merci, 1905

L’opposizione tra questi due estremi (la virilità rinchiusa nei paramenti bellici, e la femminilità nuda e seducente) è l’incarnazione di una dialettica tra i sessi che da tanto – troppo – tempo viene tramandata come fosse una verità immutabile. Eppure la dinamica delle relazioni di potere, dominazione e sottomissione, non è mai così univoca come potrebbe sembrare; il meccanismo è delicato, e al suo interno le componenti contrapposte sono in costante tensione verso il capovolgimento.

La forza dell’immagine del cavaliere e della donna nuda risiede proprio nel fatto che, a un livello profondo, il suo equilibrio rimane indecidibile.

Vereker Monteith Hamilton (1856 – 1931), The Rescue

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