Giovanna d’Arco tra guerra e altari

 

Basta citarla e già si dischiude una porta su un nugolo di interrogativi irrisolti. Digitiamo il suo nome su Google e ci accorgiamo che la Rete pullula di sue immagini. Dipinti, statue, foto prese dai film. Eppure il volto di questa ragazza non lo conosciamo affatto. Non esistono suoi ritratti. Però la storia di Giovanna d’Arco affascina, molti artisti si sono divertiti ad immaginarla. Poi ci accorgiamo che, di regola, le raffigurazioni sono di due generi. Il primo tipo rappresenta una pastorella orante tra pecore e caprette nella campagna della Lorena. Il suo viso è ancora tondo, morbido come quello dei bambini, pallido come quello dei santi. Il secondo genere rappresenta una ragazza in armatura, ritta in sella ad un destriero. Invece della spada, Giovanna stringe nel pugno il suo gonfalone sacro. Entrambe le raffigurazioni sono idealizzate. Mitemi intoccabili della narrazione sacra.

Visioni e politica

Com’era, invece, la Giovanna vera? Per arrivare almeno ad immaginare una Pulzella il più possibile vicina alla realtà, dobbiamo allontanarci da questi modelli che ci sono stati tramandati dalla letteratura agiografica. Dobbiamo inquadrare Giovanna sullo sfondo del mondo molto più concreto e più duro del suo tempo. In una Francia violenta, divisa in due: il nord nelle mani del nemico inglese e il sud in quelle dell’erede legittimo al trono, un giovane delfino diseredato. Dobbiamo renderci conto che mentre gli inglesi strangolavano il Paese a poco a poco reclamando i territori più appetitosi e addirittura la corona per il loro re bambino Enrico VI, il ricco duca Filippo di Borgogna giocava d’astuzia tra una parte e l’altra. Era alleato degli inglesi, ma dava ad intendere ai seguaci del delfino, gli armagnacchi, di essere incline a trattare la pace. Tra le guerre e le vendette sanguinarie di queste due fazioni, armagnacchi e anglo-borgognoni, crebbe Giovanna. Nel villaggio di Domrémy.

Situazione politica nella Francia di Giovanna d’Arco © Sabina Marineo

Quando iniziò la sua lotta non era ancora la Pulzella, era solo una contadina. Ma non una pastora. Giovanna stessa lo precisò nel corso del suo processo di condanna. La ragazza di Domrémy non fu mai una pastora. Suo padre era agricoltore, è vero, ma anche piccolo possidente e una sorta di vicesindaco di villaggio. La famiglia d’Arc era un nucleo contadino agiato. E fra una pastorella povera e una contadina benestante la differenza è grande. Questo Giovanna ci tenne a chiarirlo subito. Per il resto fu descritta come una ragazza positiva, lavoratrice, altruista e religiosa. Anche troppo religiosa. Andava sempre a pregare nelle chiese, nelle cappelle, correva a inginocchiarsi davanti ad ogni immagine sacra raggiungibile. Non solo questo: Giovanna sentiva delle “voci”.

In risposta alle domande incalzanti dei giudici, la ragazza ammise di avere spesso anche delle visioni. Vedeva i santi, in particolare tre: san Michele, santa Caterina e santa Margherita. Siamo ancora nel Medioevo, all’epoca la gente era molto credente, visioni e miracoli appartenevano più o meno all’ordine del giorno. Si può capire che un eccessivo zelo religioso potesse alimentare l’insorgenza di tale fenomeno nella mente di una ragazzina. Ma i santi di Giovanna parlavano di politica. La incitavano a prendere le armi, a fare la guerra, a combattere per scacciare gli inglesi dalla Francia e far intronizzare il giovane delfino Carlo. Tutte cose molto concrete.

Giovanna accettò subito il ruolo di combattente di Dio. Non ebbe paura, non ebbe esitazioni. Lo accettò senza farne parola con nessuno. Era la sua missione. E progettò la fuga dalla casa paterna, da quella famiglia che poteva esserle di ostacolo. Era talmente determinata a portare avanti il suo piano, che riuscì a trovare il modo di allontanarsi dal villaggio senza destare sospetti. Dopodiché raggiunse la vicina città fortificata di Vaucouleurs e si presentò al capitano Robert de Baudricourt al fine di ottenere una scorta armata che le consentisse di raggiungere il delfino e mettersi al suo servizio. Per liberare la Francia. Da quel momento, dal febbraio 1429, inizia la sua epopea guerresca che terminerà tragicamente poco più di due anni dopo sul rogo di Rouen. Ebbene, sarebbe interessante sapere che cosa le passava per la testa in quei giorni decisivi. Quali erano i pensieri di una ragazza nemmeno ventenne che, da semplice contadina, voleva trasformarsi in una combattente.

E le voci che udiva? Quelle che la istigavano a prendere le armi? Non era forse strano, per una fanciulla profondamente religiosa, che i santi la incitassero a scendere sul campo di battaglia? E che lei fosse pronta a seguire una strada di morte e sangue? Forse san Michele, santa Caterina e santa Margherita altro non erano che un lasciapassare, una sorta di autorizzazione e di strumento, un efficace trampolino di lancio da utilizzare al fine di raggiungere il suo scopo: la liberazione. La vittoria. Allora è chiaro che in realtà l’obiettivo di Giovanna non era sacro, ma politico. È pur vero che la ragazza di Domrémy identificava nella sua missione politica l’ordine di Dio. Ma questo suo Dio era più simile a quello impietoso dell’Antico Testamento che all’immagine di un’Entità sovrannaturale dispensatrice di pace, amore e vita. Il suo era un Signore della guerra che aveva deciso di supportare i francesi seguaci del delfino diseredato. A costo di portare la morte. A costo di uccidere.

Una santa con la spada

Giovanna se ne rendeva conto. Ma l’impulso di compiere la sua missione era più forte. Qualcuno doveva pur dare la spinta decisiva per salvare il Paese oltraggiato. Avrebbe seguito l’ordine di quel Dio ineluttabile, sarebbe divenuta la vergine salvifica di quella profezia che ormai da decenni s’era diffusa in tutta la Francia. Si sarebbe vestita da uomo, si sarebbe armata, avrebbe combattuto la sua battaglia fino all’ultimo. E così accadde che Giovanna infrangesse un tabù secolare: iniziò a girare in pubblico esclusivamente in abiti maschili. Un vero scandalo, che la corte reale e il popolo accettarono soltanto perché si trattava di lei. Perché quella ragazza sfrontata era la Pulzella, la liberatrice, una creatura angelica al di sopra delle leggi umane. Uno scandalo che avrebbe fatto drizzare i pochi capelli rimasti sulla testa dei patriarchi biblici. Incredibile. Una giovane donna vestita da uomo. Una ragazza armata. Che orrore. E quanto le sarebbe costata questa scelta, una volta rinchiusa nella prigione di Rouen!

Ricostruzione del probabile aspetto di una statua di Giovanna d’Arco
che si trovava, un tempo, sul ponte di Orléans e oggi scomparsa.
© Sabina Marineo

Anche perché Giovanna si muoveva a suo agio vestita da cavaliere, tra i signori della guerra. I campi di battaglia le donavano. E veniamo così a scoprire un lato meno noto della ragazza di Domrémy, quella seconda faccia scomoda: il volto della temuta guerriera di Dio. Una donna armata che non si limitava di certo a sventolare il gonfalone sacro, ma utilizzava la lancia e la spada. Del resto, di che ci meravigliamo? Come avrebbe potuto combattere altrimenti? Questa della guerriera è un’immagine scomoda solo per noi, figli del nostro tempo e abituati alla leggenda della buona pastora di Lorena. Per Giovanna, invece, la guerra era una fredda realtà. L’unica via possibile per poter raggiungere i suoi obiettivi in un mondo duro e sanguinario dominato da uomini. E poi Giovanna non si è mai nascosta dietro baluardi mendaci. Non ebbe mai paura di ammettere i suoi sbagli, le sue imperfezioni. Si mostrò sempre così com’era, con una disinvoltura disarmante, a volte quasi irritante.

Inoltre combatteva volentieri e bene. Lo faceva per una causa che lei reputava giusta, anche se di santo non aveva proprio nulla. È probabile che l’Altissimo non tenesse né per gli armagnacchi, né per i borgognoni. Malgrado le voci che s’insinuavano di continuo nella mente di Giovanna e la spronavano a lottare. Proprio per questo la Chiesa fece una gran fatica a trasformare quella testarda e bellicosa ragazza di Domrémy in una santa. Come celare sotto il manto della beatificazione le azioni guerresche? Gli assalti? Gli assedi? I ripetuti spargimenti di sangue? Già nel XV secolo papa Pio II, grande letterato e diplomatico italiano, credette di riconoscere nella Pulzella uno strumento meraviglioso dei potenti, una creatura sapientemente utilizzata per scopi politici. Giovanna d’Arco fu beatificata soltanto alla fine del XIX secolo. Nel 1902 fu santificata. E oggi quella ragazza anticonformista è il simbolo della lotta per la libertà e del massimo sacrificio per il bene della patria. Per me, è il simbolo del coraggio e della forza delle donne in un Medioevo pervaso da soprusi patriarcali.

Però la contraddizione rimane. Stride parecchio. Se da una parte i paesani di Domrémy la dipinsero come una fanciulla brava e pia, dall’altra parte i suoi compagni d’armi ne rammentavano fieri la furia bellica e l’insolita bravura sul campo di battaglia. “Come se facesse la guerra da decenni”, disse di lei un esperto cavaliere. Lo disse uno di quei nobili spavaldi dalle mani lunghe e la spada facile che erano abituati a cavalcare, ad usare le armi chiusi in una gabbia di ferro sin da bambini. Come fosse la cosa più naturale del mondo. Era un collega dell’impavido Poton de Xaintrailles, del furibondo La Hire, dell’uccisore seriale Gilles de Rais. Ai suoi occhi, quella ragazza caparbia era una vergine forte, irrefrenabile nell’impeto giovanile della religiosità e nell’ardore della guerra. Queste due facce disorientano chi tenti di ricostruire la vita della Pulzella: una giovane donna che fece parlare di sé non solo la Francia, ma l’Europa intera.

La metamorfosi

In perfetta sintonia con quelle che noi sembrano le tante contraddizioni di un’epoca lontana, la Pulzella Giovanna finì la sua vita sul rogo e poi riapparve sulla scena in una sorta di rinascita miracolosa. Cinque anni dopo. Una seconda apparizione incerta che ben si adatta alla sua breve esistenza eclatante satura di mistero e ricca di prodigi. È ovvio che la resurrezione di Giovanna oggi sia ancora argomento di accese discussioni. Si capisce bene che se davvero la Pulzella d’Orléans non fosse morta tra le fiamme sulla piazza del mercato di Rouen, verrebbe a crollare il personaggio di martire che ha consentito alla Chiesa di fare di lei una santa. Verrebbe anche a crollare il mito del sacrificio supremo per la liberazione della patria. Bisogna quindi considerare tale possibilità con estrema cautela. Il fatto è che a sostegno di questa teoria esistono dei documenti accreditati.

Alcuni sono conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi, altri negli archivi della città tedesca di Colonia, altri ancora negli archivi di Orléans e di alcuni centri francesi. Esiste anche un profilo policromo affrescato nella sala di un castello che potrebbe ritrarre Giovanna d’Arco dopo la morte, rediviva, protetta da nuova identità. Giovanna nella sua seconda vita di donna sposata, quando si chiamava Jeanne du Lys des Armoises. C’è poi un villaggio francese, Pulligny-sur-Madon, che conserva ancora la tradizione di una chiesa antica risalente al XV secolo, in cui fu seppellita con i dovuti onori la nobildonna Jeanne du Lys insieme al marito Robert des Armoises.

Copia degli affreschi di Jeanne du Lys e Robert des Armoises presenti nel
castello di Jaulny e sulla porta scolpita custodita al museo cittadino di Metz
© Sabina Marineo

Che dobbiamo pensare di tutto ciò? È una possibilità reale? Oppure si tratta solo di una falsa pista? Per quanto mi riguarda, sono incline a tenere questa possibilità in seria considerazione. E tuttavia, se ci recassimo oggi a Pulligny-sur-Madon nella chiesa che ospitò la tomba dei coniugi des Armoises, non troveremmo più nessuna lapide. Non troveremmo nemmeno uno stemma di famiglia. Ogni elemento riconducibile ai due sposi è scomparso. Una mano impietosa ha condannato Jeanne du Lys e Robert des Armoises all’oblio. Sembrerebbe che l’eliminazione delle tracce in pietra sia stata operata a cavallo tra il XIX e il XX secolo, in vista della santificazione di Giovanna. In questo modo la resurrezione della Pulzella dopo il rogo e la sua metamorfosi da vergine guerriera a ricca gentildonna sposata non sarebbe mai venuta alla luce. Nulla avrebbe potuto offuscare il mito tenuto in piedi da un cattolicesimo fortemente nazionalista, quello dei primi del Novecento.

Così fu possibile elevare l’eroina della patria a santa e seconda patrona della Francia. Che avrebbe detto Giovanna di questa manovra d’insabbiamento che la rese giovane martire defraudandola per sempre della sua nuova identità e della sua seconda vita? E che avrebbe detto se avesse saputo che, alla fin fine, la santa più importante sarebbe stata proprio lei? Una santa che per i francesi viene al primo posto, prima di san Michele, santa Caterina e santa Margherita? Avendo imparato a conoscerla attraverso le sue dichiarazioni processuali, le testimonianze di chi la vide crescere e i racconti dei suoi compagni d’armi, ho la vaga impressione che tutto ciò le avrebbe strappato di bocca un’osservazione sarcastica. Forse anche una risata irriverente.


https://storia-controstoria.org/personaggi-e-miti/giovanna-darco-guerra-altari/

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