La nuova economia dell’Europa dell’Est



Nonostante una serie di problemi da affrontare, gli ex paesi paesi comunisti dell’Europa dell’Est sembrano incamminati verso una crescita forte e costante.

Un anno davvero difficile il 2016 per tutta l’Unione Europea.

Tra la Brexit, gli attacchi terroristici, l’irrisolta crisi della Grecia, le tensioni con la Russia, la crisi migratoria e le recenti preoccupazioni per la solidità delle banche italiane, a Bruxelles non mancano certo i grattacapi.

In un contesto del genere, se la crisi dovesse aggravarsi, le economie più vulnerabili sarebbero certamente quelle dei paesi più deboli e che stanno ancora cercando di convergere verso la media dell’Unione Europea, come lo sono i paesi ex comunisti dell’Europa dell’Est.

L’uscita del Regno Unito dalla EU ha indebolito il peso politico di tutte quelle nazioni che non hanno ancora adottato l’euro, dal momento che il loro contributo in termini di PIL è sceso dal 40% al 16% dopo la Brexit. Perciò, c’è da pensare che aumenteranno le pressioni su paesi come la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca per adottare l’euro, cosa che nessuno di questi è ancora pronto per fare.

Tuttavia, le cose per questi paesi non sembra si stiano mettendo poi così male.

I fondi strutturali della UE, che sono praticamente automatici, continueranno a sostenere la futura crescita del PIL. Una crescita che attualmente è inferiore a quanto registrato dopo la crisi del 2008, ma è più sostenibile. L’inflazione è sotto controllo, la disoccupazione è bassa, le esportazioni vanno bene, il deficit delle partite correnti è a livelli ragionevoli e il deficit di bilancio non va oltre il 2 o 3 per cento del PIL.

In paesi come Romania, Bulgaria, Serbia, Croazia e le piccole economie dei Balcani occidentali, il relativo sottosviluppo è ora considerato il motore che spinge l’economia, grazie ad un risvegliato interesse degli investitori per le opportunità esistenti e per i consumatori più ricchi che sono favoriti da un’imposizione fiscale molto bassa: in Romania c’è una tassa forfettaria sui redditi del 16% e in Serbia del 12%.

La Romania registrerà quest’anno una crescita del 3,8% e del 4% nel 2017, mentre la Bulgaria si aspetta una crescita del 3% quest’anno e la Serbia del 2,5%. La borsa valori di Bucarest è diventata la più grande e dinamica di tutta la regione del sud-est Europa.

Discorso diverso per Polonia, Ungheria e Slovacchia, dove il nemico principale alla crescita sembrano essere i governi populisti o semi-populisti al potere.

In Polonia, per esempio, il PIL è cresciuto ininterrottamente per 23 anni, il PIL pro capitale è più che raddoppiato e le esportazioni UE sono cresciute di 25 volte dal 1990. Ma l’attuale governo di destra sembra deciso a varare leggi interventiste in campo economico, alimentando i timori che la crescita record del paese venga distrutta.

Così come in Ungheria, dove il governo di Viktor Orbán ha costretto le banche locali a convertire circa 14 miliardi di euro di mutui dei consumatori in franchi svizzeri e altre valute (quasi il 77% del debito complessivo delle famiglie), in fiorini a tasso fisso. In pratica, le banche ungheresi hanno dovuto sostenere un costo stimato in 3 miliardi di euro. Tuttavia, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la crescita del paese sarà per quest’anno del 2,3%. Inoltre, nel mese di luglio, la Daimler AG ha annunciato di voler investire un miliardo di euro per un nuovo impianto di produzione vicino a Kecskemét, rafforzando ulteriormente questa regione come uno dei principali hub di produzione automobilistica in Europa.

Tante luci e tante ombre in Europa dell’Est, con problemi da risolvere e sfide da affrontare, ma che nel complesso porta la maggior parte degli investitori a guardare con fiducia alle prospettive economiche per i prossimi anni.

http://www.metallirari.com/la-nuova-economia-delleuropa-dellest/

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